narrato
pensato
parlato
parlato altrui
Erano le 6 della mattina, la sveglia stava suonando. Mi alzai di malavoglia, e infilai i piedi all’interno delle mie pantofole, che erano affiancate al mio letto. Varcai la porta della camera, e fui abbagliato subito da una luce solare. Finestra era aperta, e fuori si poteva vedere il villaggio, ancora oscurato dalla penombra del mattino. Camminai verso la cucina, pronto a fare colazione, e con uno sguardo assonnato mi sedetti su una sedia.
Maledetta sveglia.
Indossavo un pigiama nero, con nessun segno particolare o simbolo, e dei calzini bianchi, tenuti durante la notte, a causa del freddo della notte precedente.
Stavo per ricadere in un sonno profondo, seduto sulla sedia, quando dalla porta della cucina vidi sbucare una figura piccola e tozza, e un po’ grassottella. Era mia nonna, che era sveglia dalle cinque e mezza della mattina. Indossava una gonna grigia e un maglioncino verde, e delle ciabatte che al contatto con il pavimento generarono un ticchettio.
Yahiko, non ti sei neancora preparato la colazione? E cosa aspetti? Che si faccia sera?
Sì subito nonna, un attimo solo…
Sempre un attimo…ormai non ce la faccio più…sempre un attimo…
Che seccatura! Non ci si può neanche prendere un attimo di pausa…
Mi alzai e presi il latte dal frigo. Dovevo aprire la confezione nuova. Una volta aperta, svuotai il latte su un pentolino rosso, e lo appoggiai sul fuoco del gas, e aspettai un paio di minuti, in modo che si scaldasse a dovere. Finita la cottura, con una presina afferrai il pentolino ardente, e versai il latte caldo su una tazza, e poi lo appoggiai sulla griglia che si trovava in mezzo tra i quattro fuochi del gas. Presi del caffè che aveva preparato mia nonna la sera precedente, e ne versai un po’, in modo da dare un po’ di gusto in più a quel latte che a prima vista non avrebbe ispirato nulla.
Bevvi a sorsi il latte caldo. Era amaro, perciò presi lo zucchero dalla mensola, e con un cucchiaio piccolino, ne versai un po’. Riposi lo zucchero al suo posto, e con il cucchiaino mescolai il latte, in modo da scioglierlo. Ripresi a berlo, e una volta finito di sorseggiarlo, andai in camera mia.
Mi avvicinai all’armadio dei vestiti e lo aprii. Al suo interno erano riposti moltissimo capi di vestiario. Con un po’ d’esitazione, afferrai una canottiera a rete, e la indossai, poi presi una giacchetta nera, da mettere sopra la canottiera, e dei pantaloni bianchi a ¾.
Una volta vestito, richiusi l’armadio, e andai nel corridoio. Aprii il porta scarpe, e ne estrassi dei sandali neri. Li calzai, e una volta pronto aprii la porta di casa mia. Stavo per uscire quando mi ricordai che dovevo ancora lavarmi i denti, così rientrai in casa, andai in bagno e mi piazzai davanti al lavandino. Dalla mensoletta sopra a quest ultimo, presi lo spazzolino e il dentifricio, e cominciai a strofinare. Passarono circa tre minuti, e continuavo a strofinare lo spazzolino, poi mi risciacquai la bocca, mi lavai la faccia, e andai fuori di casa, dopo aver salutato mia nonna.
Scesi le scale, ed arrivai al cancello che separava casa mia dal mondo esterno.
In strada non c’era nessuno, tranne un gatto marrone che stava inseguendo un suo simile. I due correvano da un lato all’altro della via, miagolando. Li guardai per qualche minuto, esterrefatto dalla bellezza e dalla sinuosità dei loro movimenti. Erano agili e scattanti, la potenza che emanavano a ogni contatto con la terra battuta della strada sembrava un impatto di qualcosa di colossale. Le loro gambe si ripiegavano ad ogni balzo, e il corpo non compiva nessun movimento inutile. La bellezza di quegli animali era imparagonabile in confronto alla mancanza d’eleganza dell’uomo.
Il loro splendore mi aveva catturato, ma ritornai poco dopo alla normalità, e mi alzai dal freddo muretto nel quale mi ero seduto poco prima per ammirare i due felini, e mi incamminai verso l’ufficio delle entrate, presso la magione del Kazekage per ritirare la domanda d’iscrizione da compilare, e da riconsegnare nella segreteria dell’accademia ninja. Uscii dalla mia via, e potei vedere che il sole stava sorgendo. La penombra del mattino stava per essere sostituita dalla luce del sole. La luce arancione mi abbagliò momentaneamente la vista, che poi ritornò alla normalità. Dopo aver ammirato il sole, girai a destra, ed entrai in una via circondata da case molto alte, dal colore marroncino, come tutte le case di Suna. Avevano piccole finestre, in modo da non far entrare troppo sole, e lasciare fresco l’ambiente interno. C’erano alcuni cartelli pubblicitari attaccati nei fianchi delle case, e alcune scritte sui tetti. Una casa in particolare attirò la mia attenzione. Era molto grande, e dalla forma tondeggiante. Le finestre erano di media grandezza, e c’era un grande scritta rossa su un cerchio in rilievo, appena sopra le finestre, e un tetto, con delle ringhiere, in modo da evitare una qualche accidentale caduta. Era la magione del Kazekage.
Mi avvicinai e la osservai dal basso con del timore reverenziale, e poi varcai la porta. La magione era aperta 24 ore su 24, al suo interno si trovavano diversi uffici. L’ambiente all’interno era fresco, a differenza di quello esterno.
Mi avvicinai al bancone, e davanti a me c’era un jonin, abbastanza alto, dai capelli neri, e occhi marroni.
Mi scusi, dovrei ritirare la domanda d’iscrizione all’accademia. mi può cortesemente dare il tagliando dell’iscrizione?
Ehm… ma certo tieni pure. Il giovane ninja si abbassò un attimo e aprì un cassetto, dal quale estrasse un foglietto. Si rialzò e mi disse:
guarda, adesso questo lo compili, ecco tieni una penna. Si guardò in giro e prese una penna che era dentro ad un astuccio. Adesso scrivi il nome e il cognome, la tua data di nascita e il codice civile.
Ehm…non me lo ricordo…ah si aspetta.
Dalla tasca posteriore dei miei pantaloni estrassi un porta fogli, da quale presi la carta d’identità, guardai il codice civile, e lo trascrissi sul tagliando. Poi ringraziai il giovane ninja riconsegnandogli la penna, e varcai la porta della magione, e mi ritrovai in strada. Erano circa le sette della mattina, e non c’era ne’ancora gente per le vie del villaggio. Tenevo tra le mani il tagliando d’iscrizione, mentre camminavo in direzione dell’accademia. Era incredibile: tra pochi minuti sarei diventato uno studente dell’accademia a tutti gli effetti. L’emozione mi aveva pervaso il corpo, e la gioia incrementava ad ogni singolo passo che compievo. Camminai numerosi minuti, e poi arrivai nei pressi dell’accademia. da lontano la si poteva vedere. Era grande, marroncino sabbia come tutti gli altri edifici del villaggio, con finestre piccole e con un portone grande alla base.
Mi avvicinai sempre più, finchè non fui davanti. La osservai qualche istante e poi varcai la porta principale. Vidi una donna seduta al banco. Mi avvicinai, curioso di sapere dove si trovava l’ufficio dove consegnare le iscrizioni.
Mi scusi, mi sa dire dove posso consegnare il tagliando per l’iscrizione?
La donna non mi rispose subito, ma poi, con aria assonnata e tono scocciato mi disse:
È qui! Dai! Dammi!
Ok…ok…
Consegnai il tagliando all’irascibile donna.
Ecco a lei…è tutto a posto? Sono effettivamente uno studente dell’accademia??
Si…ti conviene sparire…ho sonno e non so come reagirei se tu mi innervosissi.
Dopo quelle parole, cominciai a provare paura nei confronti della donna, e così con tono tremante, cominciai a balbettare le seguenti parole:
mi…mi…mi può dire dov’è la classe S-10??? Per piacere?
È su di sopra…bimbetto.
Ok…grazie.
Detto questo con fretta cominciai a salire le scale sempre più velocemente, finché non sentii la donna della reception scoppiare in una sonora risata. Accennai un sorriso e continuai a salire le scale, con un’andatura più tranquilla. Vagai tra i corridoi, e poi vidi l’etichetta di una classe con su scritto S-10.
Andai verso la classe, mi fermai un secondo davanti alla porta, pensando che ci fosse il sensei o qualche altro studente, invece, una volta varcato l’uscio, mi ritrovai all’interno di un’aula vuota. Era molto grande, e c’erano due file di banchi molto numerose e una cattedra in fondo alla stanza, con una lavagna alla sua sinistra. Mi guardai attorno e mi sedetti sul primo banco della settima fila del primo gruppo di banchi partendo dalla destra della porta, in attesa che arrivasse il mio sensei, o qualche altro mio compagno di corso.