Aria Nera

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Dirge
view post Posted on 3/9/2011, 21:00




Terra di nessuno
Ore 21.43


Serenità trafitta da una velenosa lancia. Velluto bianco lordato da perle insanguinate. Pioggia di sogni infranti, solo per gioco. Gli occhi, abituati ad un certo tipo di contemplazione, si sbarrano...In lontananza, su di uno sfondo celestiale, il tocco del demonio. La pennellata di un artista. Cadono dal cielo, dal loro trono illusorio, uno stormo di piccoli uccelli canterini, una volta forse. Con le membra ferite, macerate, durante la loro discesa intonano un canto cimiteriale. Visione raccapricciante, oppure visione gioiosa. Tutto muta seconda di chi la osserva. Quindi, una freccia scarlatta taglia in due il cielo, è l'inizio della fine. Dalla divisione di esso un punto nero si avvicina sempre di più, crescendo, man mano, di dimensioni. Una creatura aggraziata, unica, incomparabile. Un angelo? Forse. O forse no. Le piume nere delle sue ali fanno invidia, la loro lucentezza dona al proprietario onnipotenza. Ma eccolo che sfiora il terreno, assassinando la natura circostante. Tutto nero, tutto dannatamente nero. I fiori, vanitosi del loro manto bianco, perdono inesorabilmente e senza spiegazione la loro purezza. L'onda nera si espande a gran velocità, uccidendo tutto. Si odono sordi tonfi, è la fine delle bestie. E' divertente osservare come le madri dei cuccioli cercano, invano, di sovrapporsi a loro per difenderli. Ma ancora più divertente è rendersi conto dell'inutilità del gesto. Tutto ad un tratto una voce, di sadiche origini, scoppia a ridere. L'eco di essa ti entra nell'anima. Terremoti devastano le terre, dividendole in tante isole e facendo si che le bestie sprofondino, per sempre, negli inferi. L'apocalisse? Magari. E' solo l'inizio di tanta sofferenza.

Ora è tutto nero, che meraviglia, e due occhi, vermigli nella loro essenza, si aprono al mondo. L'osservano gelidi e lo fanno tornare come prima.

Il principe purosangue aprì gli occhi, dopo esser stato dominato, per un tratto, dalla sua immaginazione. Immaginazione prodotto di un commisto dei suoi obiettivi e dei suoi ideali. Stava vagabondando nei pressi di Kiri, concedendosi un momento di sosta dai suoi compiti, divisi con il suo compagno Kisuke Nara. Presto sarebbe tornato al rifugio.


Edited by ¬Kob - 5/9/2011, 21:42
 
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¬Kob
view post Posted on 5/9/2011, 20:42






Clichè
Ryosuke Mikawa



Era una notte buia e fredda, persino per la regione dell’acqua, da sempre capitale del gelo e della nebbia, in qualunque periodo dell’anno. Quel manto scuro e tenebroso ormai si era posato persino in quell’angolo di mondo sperduto, lasciando cadere i più tra le braccia possenti di Morfeo, nel mondo dei Sogni. O Incubi. La maggior parte degli abitanti dei villaggi distanti era per di più gente comune, costretta ad un lavoro ordinario e privo di stimoli, eppure tra quelle lande, tra gli edifici bassi, costruiti con materiali poveri, privi di alcuna forma architettonica precisa, si ergeva il villaggio di Kiri, la grande meta dell’isola. Tra le piccole imprese ed i lavori umili della borghesia, in quella piccola metropoli vi era uno dei quattro grandi centri Ninja mai esistiti, e tra le mura del frigido Kirigakure, un esercito di shinobi pieni di talento.
Ryo era sempre vissuto presso quel piccolo centro abitato, che nonostante fosse il più importante nel raggio di numerosi Kilometri non era di certo il più popolato o ampio, ed ormai da molto tempo era diventato un Ninja della Nebbia, assolvendo i suoi compiti al meglio. In quella vecchia notte scura, priva di stele lucenti o astri visibili, quel giovane era di ritorno da una missione, non troppo estenuante né complicata, missione che appena il giorno prima lo aveva portato lontano da casa, tenendolo occupato quasi due giorni. Non era stato niente di eclatante, aveva fatto solo qualche lavoretto ordinario, ma quello che realmente sarebbe stato da notare, era quell’incontro che, appena pochi minuti prima di scorgere le possenti mura del villaggio, aveva fatto tra gli arbusti della boscaglia peculiare di Kiri, determinata da una serie di alberi per lo più spogli, secchi e scheletrici, come le ossa di un vecchio uomo ormai prossimo alla morte. A volte pareva anche che quegli alberi prendessero vita, quasi avessero qualche compito da svolgere, quasi dovessero finire qualcosa rimasta in sospeso. Era un foresta unica nel suo genere, che nonostante non fosse tra le più fitte o le più importanti aveva un ché di affascinante. Oltretutto per i ninja di quella cittadina era quasi un monumento, un credo. Si diceva che chiunque avesse conquistato i favori di Kiri, avrebbe ottenuto l’onore di presiedere, dopo morte, tra le schiere di alberi nei dintorni di Kiri, e che nel giro di pochi attimi dopo morte, sarebbe fiorito l’albero del ninja appena deceduto. Non che fosse una così grande aspirazione, ma sicuramente l’aspetto ideologico della faccenda lasciava un qualcosa di ammirevole tra gli occhi dei Kiriani, qualcosa di cui andare fieri. Il giovane Mikawa non si era preoccupato mai troppo di questa faccenda, aveva sempre lasciato agli altri le leggende metropolitane e le superstizioni del popolo, ma non poteva fare a meno di adagiare il passo una volta entrato nella fitta rete di alberi bianchi, limitandosi a camminare a testa altra tra le cortecce degli arbusti. Lo faceva per riguadagnare una sorta di immagine, quasi per mostrare ai suoi concittadini chi fosse, non tanto per il rispetto di quei legni tanto venerati, ma questo lo aveva portato a conoscere bene il territorio circostante, ed ormai era abituato a trovarvi gente di ogni tipo. Non che gli creasse alcun tipo di problema, non erano affari suoi, ma quel giorno era al culmine della banalità, ed il Mikawa lo aveva notato. A pochi metri da lui, non sarebbero stati più di tre o quattro, un Mukenin di Konoha si era preso una pausa, sostando tra gli alberi pallidi e mingherlini, apparentemente privo di alcun perché o motivo di sorta, osservando la luna estremamente bella e bianca, tonda coma la più perfetta forma esistente nell’universo. Ryo non l’aveva fatto apposta, gli era quasi uscito, istintivamente dalla bocca, quasi come una battuta sarcastica o un commento privo di senso, ma si era limitato a scambiare pochi verbi con il Ninja della Foglia, abbastanza alto da farsi sentire, ma nemmeno tanto basso da far trasparire timore dalle sue parole. Non voleva essere provocatorio o altro, non voleva alcun contatto a dir la verità, no gli interessava niente di quel Konohano, era stato un movimento privo di pensiero, un istinto potente, ed incisivo.

«Un Mukenin nei pressi di Kiri… Ma che Clichè.»








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Dirge
view post Posted on 7/9/2011, 00:18




...


Fastidiosi moscerini. Nei momenti in cui sei più rilassato ti giungono vicino con il solo scopo di urtarti i nervi, solo a quello servono.

Il ritratto della perfezione sostava lì, immoto, tra la nudità di quei fragili ramoscelli. Le nere perle contemplavano, assorte, la candida effigie della luna, avvelenandola. I suoi capelli, del colore dell'ebano, erano raccolti in una coda e per la maggior parte celati dal nobile cappello di paglia, classico della sua figura. Le rosee labbra, disegnate da un pennello divino, non osavano farsi ammirare dal prossimo, poiché dissimulate dall'alto colletto della tetra tunica da lui indossata, infatti essa ricopriva quasi interamente tutto il suo corpo, estendendosi sino alle caviglie. Le mani stesse erano oscurate alla luce, per una pura forma strategica. Raro veder pacata quella creatura, sempre e comunque insaziabile di carne.

Tutto d'un tratto qualcosa scosse il principe. Un rumore vicino, troppo vicino. Proveniva dalle sue spalle. Dunque, con un movimento leggiadro, quasi danzante, girò la testa in contemporanea con il resto del corpo. Rimanendo quasi di profilo. Non voleva dare troppa importanza al suo visitatore. Ambedue gli occhi, tinti del rosso della passione e caratterizzati di due Tomoe ciascuno, osservavano gelidi l'altro. Una mossa avventata mostrare subito la propria identità? Perché mai, lui voleva essere conosciuto. La zanzara molestatrice, responsabile di averlo urtato, presentava un aspetto trascurato, la sua estetica faceva ribrezzo confrontata a quella del divino. Ma d'altronde tutti gli insetti sono essere ripugnanti, dunque non c'era da stupirsi. Dalla bocca di essa uscirono delle parole, stupide parole. Evidentemente non si rendeva conto di chi aveva dinnanzi, poverina. Mitsurugi dentro sé non sapeva che fare, se ucciderlo subito oppure aspettare un poco. Indagare sull'identità dell'altro poteva essere una buona cosa, considerando, dal copri-fronte, l'interessante provenienza. Decise di rispondere, sempre osservandolo con occhi di ghiaccio.

Fai silenzio, sporco mezzosangue. Non ti rendi conto della spiacevole situazione in cui ti trovi. Sei consapevole di essere circondato?”


Edited by Dirge - 7/9/2011, 23:22
 
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¬Kob
view post Posted on 7/9/2011, 23:10





Sangue
Ryosuke Mikawa



In quella notte scura senza stelle, sotto i raggi candidi della luna rigonfia sul capo del mondo, la quiete dominava quelle lande selvagge, padrone del tempo e del mutamento. L’aria si era raggelata nei pressi della vecchia armata d’alberi, e l’umidità si sentiva fin dentro le ossa, tanto da rizzare i peli sulla pelle. Naturalmente era difficile che questo succedesse a persone ormai abituate al clima mite e particolare della regione dell’Acqua, tanto più era difficile che fosse proprio un ninja a sentire gli effetti della scesa della notte, anche se una come quella era di un estremo particolarmente raro. Anche la nebbia iniziava a diffondersi, cingendo le radici degli alberi e le caviglie dei giovani guerrieri, ormai presi da uno scambio di sguardi e di parole che sembrava essere solo iniziato.

Il Giovane Mikawa si era appena soffermato a guardare quella figura tutta coperta a pochi metri di distanza, figura che a malapena si era destata udite le parole del Kiriano. Come poteva immaginare quel giovane si era leggermente voltato verso di lui, sfoggiando uno sguardo sanguinoso, del color del fuoco, una coppia di occhi che ormai il giovane Genin conosceva molto bene. Era un segno distintivo di uno dei clan più rinomati di Konoha, e certamente una cosa del genere non si poteva di certo dimenticare, ma ciò che più di tutti pareva aver attirato l’attenzione del Mikawa, era la pessima scelta di parole che aveva utilizzato quel Mukenin. Con quelle semplici parole, putride di tracotanza, sprezzanti del pericolo e spavalde come poche, quell’Uchiha aveva teatralmente risposto a quell’istinto che pochi attimi prima quel giovane shinobi della nebbia era scoppiato fuori. Silenzio, spiacevole situazione e circondato, erano le parole che più erano incise nella periodo del Konohano, parole che sembravano avere un potere quasi letale su molti, e decisamente intimidatorio per molti altri, ma in quella piccola frase qualcosa aveva certamente attirato l’attenzione del piccolo Mikawa, che altrimenti avrebbe proseguito per la sua strada, fregandosene altamente di quel forestiero. Quello stupido straniero aveva osato parlare di Sangue con lui, l’unico ancora in vita a conoscere l’arte del Chikotsumyaku, l’unico vero padrone del liquido vitale che ancora accomuna tutti gli uomini, l’unico Dio del Sangue. Si poteva quasi definire così, un Dio. Non amava molto quella parola, quella definizione, ma per certi aspetti lo inquadrava proprio bene. Anche se mai, prima di quel momento aveva visto la sua situazione in quel modo, come una situazione divina. Si era sempre crogiolato nell’anonimato, evitando la fama e l’egoismo che più di tutti devono avere gli Dei, ma qualcosa era scattato. Dentro di sé in quel momento qualcosa si era attivato, ed il sangue aveva iniziato a ribollire dentro le vene, ormai gonfie di quel nettare vermiglio, e quegli occhi celesti, profondi come l’oceano, avevano assunto delle sfumature più scure, quasi rossastre alla luce della notte. Gli scappò una risata, quasi un ghigno nella notte, che durò appena pochi secondi, una liberazione che lo aveva fatto stare di sicuro meglio di prima, per poi calare in una sfumatura sempre più debole, accompagnata dalla suave voce del Mikawa.

«Mpf… Voi Uchiha sapete tutto sul sangue sporco, non è forse così? »



Disse quasi sprezzante, con un segno di insolenza nel tono della sua voce. Ormai il giovane sapeva delle varie vicissitudini che accompagnavano il clan del ventaglio, soprattutto quelle che tanto attanagliavano quel suo vecchio compagno di missione: Shiryu.

«Non siete voi che tanto amate mischiarvi tra la gente comune?»









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