Where Is Your God?, He's Here, Behind You.

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† F e F F e †
view post Posted on 17/10/2010, 13:48




Profana Consacrazione dello Spirito della Divinità senz'Anima.



Narrato

« Parlato »



Nero. Come il sangue che Egli si sentiva scorrere nelle vene, un sangue insolito, irriconoscibile. Non sporco od inquinato, ma intriso d’una sostanza, d’una emozione diversa, nuova che tuttavia lo aggradava. La forza stava straripando nei suoi vasi, allargandone le pareti, facendo pulsare in ogni dove del suo divino corpo una sensazione mai avvertita prima, una vera e propria goduria.
Nero, come ciò che le plumbee pupille vedevano nei momenti di palpebre sigillate. Non stava dormendo. Stava meditando, la concentrazione era quasi palpabile, emetteva un’aura. L’acqua d’una cascata potente gli scrosciava addosso incessante, diramandosi per poi tuffarsi nello specchio idrico impestato d’aguzze rocce. Ma Lui non si scuoteva nemmeno d’un millimetro, seduto con le gambe incrociate ed il torso nudo, ascoltava e tastava sulla sua pelle la freschezza raggelante del trasparente elemento.

Statuario, immobile, temprava le giovani carni sotto il copioso getto, sentiva ogni fibra muscolare irrigidirsi per respingere il continuo impatto. Mentalmente presente, viaggiava srotolando un lungo nastro che gli mostrava le possibilità di una vita ancora da vivere. Era ancora incerto del cammino da intraprendere, dello stile di vita da scegliere, da che parte schierarsi: Bene o Male.
Le ombre celate nel suo cuore però sbilanciavano il Divino verso la seconda opzione, che a lui pareva più congeniale. Della sua patria nulla gli importava, ringraziava coloro che gli avevano fornito le basi del Mestiere ma con ingratitudine presto sarebbe fuggito. Il suo spirito libero non gli avrebbe consentito ancora a lungo di restare incatenato alla società, in un sistema marcio e corrotto - che anche a Lui però, per svolgere la Quest D di rapina senza correre rischi, era stato utile - al cui comando v’erano persone ritenute inadatte.

Fradicio, a tratti infreddolito da lievi spire di vento primaverile, con la cute lisciata e gocciolante, aumentava di attimo in attimo la fermezza cerebrale, a tal punto che il silenzio che nel cranio regnava iniziava ad infastidirlo, trasformandosi lentamente in un ronzio che gli stava trapanando neuroni, ossa e timpani; sembrava urlare disperatamente, inveire, praticamente esplodere.

B o o M



Schiuse i bulbi oculari rivelando le iridi concentriche, come percosso da una scarica elettrica sciolse la posizione di riflessione ansimando, spalancò le braccia che posizionò dietro ai reni per non distendersi. Lo sforzo era enorme, ma aveva un fine giustificato: sviluppare la mente al fine di poter dare genesi ad una tecnica che solo Keita sarebbe poi stato in grado di controllare. Ma non era abbastanza, non era ancora stato raggiunto un adeguato livello di preparazione. Il fisico reggeva, ma era la parte principale a non aver ancora conseguito l’elevata soglia necessaria per scaturire il nuovo potere.

Le perle di sudore sulla fronte, segno della fatica, si mimetizzavano con il flusso verticale che levava, omettendo così quel simbolo di enorme sforzo. Riprendeva fiato, profondamente rigonfiava i polmoni d’aria per poi espellerla. Non era per nulla soddisfatto, pretendeva molto di più, esigeva molto di più dal suo genio. L’Omicida ringhiava, stringeva i pugni che sbatteva sulla nuda roccia, era arrabbiato con sé stesso e con il mondo intero. Avesse avuto una preda, le avrebbe staccato la giugulare con le zanne. Ma non poteva di certo arrendersi, lui era il Regno Divino, un appellativo per quel corpo tanto perfetto quanto modificato. Normalmente era troppo perfetta quell’opera scolpita dal migliore artista su pregiato marmo, a tal punto che Egli volle apportarvi delle insolite modifiche. L’aveva tappezzato di numerosissimi piercing neri, che risaltavano ovunque. Lobi, mento, naso, bracca, petto e schiena, un esagerazione che a lui piaceva assai, si sentiva ancora più unico e ciò lo esaltava. Già vi si riteneva riferendosi alle proprie abilità, al fato che gli era secondo lui stato cucito addosso dal giorno in cui venne generato ed inseguito rivelato alla luce, alle possibilità che credeva d’avere basandosi potenzialmente sulle proprie capacità. Ed era ancora giovane, appena diciassettenne, pieno del suo ego a tal punto che il proprio involucro credesse non fosse contenitore abbastanza capiente; sapeva cosa sarebbe stato in grado di fare se solo avesse voluto, se solo v’avesse prestato un minimo di zelo, sapeva anche che era corretto non porsi limiti all’ascesa verso l’apice.

S’era perso nel rimirar il raro Dominio d’Apollo durante il Crepuscolo, quella sfera scoccava le ultime frecce ardenti dello stesso colore dei capelli del Demone, irrorando di calore immancabilmente ogni angolo di quel nido verdeggiante. Ma Lui desiderava la Notte, quella che d’ombre danzava il ogni Loco, schiarendo pallidamente il suo viso di luce biancastra, irradiandolo d’un chiarore dolce ma inquietante. Amava la Luna, gli donava una sorta di quiete interiore quando si trovava in tranquillità, ma era anche cosciente del fatto che Ella sarebbe stata in grado di sviscerare la sua anima al fine di scatenare la Bestia Famelica regredita nei meandri dello Spirito in caso di psiche alterata. Il satellite, leggendario secondo il mito dell’Eremita delle Sei Vie a cui Keita s’ispirava, poteva essere miccia d’una potente bomba così come acqua che annienta una fiamma; era molto strano tal rapporto, quel cerchio rifulgente poteva domarlo quanto farlo impazzire, accrescendo la sua voglia di violenza, sangue, sofferenza, dolore, potere.

Accaldato ed affaticato, con l’ira che lentamente scemava, restaurava le membra diciassettenni che tutto il dì avevano sopportato il peso del Sole e dell’acqua, di una meditazione logorante, di un estenuante impiego di forze. Era comunque migliorato in breve tempo, avvertiva un’atmosfera diversa attorno a sé, quell’aura s’era incrementata assai e non accennava ad arrestarsi: il percorso era ancora lungo e tortuoso ma l’obbiettivo restava comunque raggiungibile: per Lui nulla era impossibile od inarrivabile. Si auto-ritraeva come un essere umano fuori dal normale, uno di quelli che spuntano dalla massa di feccia per scrivere qualcosa che lasciasse il segno nella Storia, Lui era una divinità reincarnatasi sulla Terra; Lui venne creato dal Fato per cambiare la storia del Mondo Intero.

Si tuffò nella pozza tiepida, adagiando il collo su un masso semi-emergente, abbandonandosi allo sciabordio alla quale l’acqua era soggetto ed al suo sommesso gorgogliare. Si stava rilassando, necessitava di recuperare, pensieri di conquista lo possederono mentre nascondeva le gemme d’acciaio. Un loco dalle dimensioni indefinibili privo di fonti in grado di diradare l’ oscurità onnipresente, poi unicamente presagi di Morte, Vittoria, Guerra, Dominio. Tutto ciò non proveniva unicamente dal desio cerebrale, ma anche da ciò che il Cuor gli domandava, da ciò che proveniente da Esso avvertiva, trovandosi concorde con entrambe le fonti. Da breve tempo s’era insinuata una smania assassina fin allora repressa, che stava diventando incontrollabile. Le mani fremevano di malmenare, voleva scontrarsi per capirsi, per rispondersi ad una domanda che lo affliggeva: era Lui superiore, oppure erano gli altri inferiori?

[…]

Calata totalmente l’inguardabile Stella, il fresco prendeva posto nella boscaglia rigogliosa, come ad addormentar le foglie che tutto il giorno erano sottoposte alla fotosintesi. Keita nuovamente meditava, con concentrazione addirittura maggiore, le vene sulle tempie rigonfie indicavano un afflusso elevato di sangue che portava carico d’ossigeno nelle zone impiegate. Tutto questo lavoro non era altro che una parte di ciò che l’aspettava, per terminare la creazione della nuova Ninjutsu cui si stava dedicando così tanto, con così tanta passione.

Sempre svestito s’era nuovamente collocato sulla roccia sottostante lo spruzzo, che abbassatosi di temperatura, costringeva l’Angelo a contrarre l’intera muscolatura che andava a contrapporsi alla scioltezza della lunga riflessione. Non scuotendosi minimamente, s’accingeva a trascorrere le ore sotto la fioca luminescenza della Falce, avvolto da rumori orchestrati da Madre Natura. Cercava di isolarsi da ogni possibile distrazione, non intendeva sprecare la minima energia per eliminare possibili disturbi. Dovevano essere convogliate unicamente nel sistema circolatorio del chakra al fine di potenziarne il controllo, che avrebbe evitato perdite inutili, e la sensibilità ed esso, permettendogli così di captare meglio alterazioni causate dall’intrappolamento da Illusioni.

Stava scaturendo una flebile corrente attorno al Killer, poco intensa, ancora poco capace di respingere uomini od oggetti come Lui desiderava. Momentaneamente era solo in grado di deviare leggermente il liquido che infinitamente lo travolgeva, producendo una specie di nebulizzazione della stessa verso l’esterno. Stringeva le mani congiunte come in preghiera, così come si digrignavano i denti mentre spremevano le palpebre, si stava impegnando, stava davvero faticando, stava bruciandosi l’anima dalla foga. « Shinraaa Tenseeeeei! » urlò squarciando le nubi che volavano nella cupola immersa d’oblio, svenne poi, accasciandosi supino.

Si risvegliò qualche ora dopo, ma aveva perso la cognizione del tempo. Era congelato, i gradi notturni che calavano su Kiri lo stavano trafiggendo con acuminati speroni, e ciò non giovava affatto il suo fisico già debilitato. Piombò sulla terra ferma dopo essersi ripreso velocemente, annusava odore di sangue, lo gustava. Portò la mano al volto, e con disprezzo notò che il vermiglio colava dalla narici adagiandosi sui polpastrelli, e copriva le sue papille. Sputò seccato, conscio che non aveva retto all’immane impiego. Ma qualcos’altro lo turbava: era o non era riuscito a detonare la sua Tecnica Personale? Non ce l’aveva ancora fatta, ma lui non lo sapeva.

S’asciugò con degli stracci quindi si vestì. Tremava, Lui era freddo caratterialmente ma l’abbraccio della Nebbia lo era di più; doveva rafforzarsi. Doveva rendere il suo tatto più insensibile, doveva indurire le proprie ossa, doveva definire le fibre interne. Si vedeva come un bruco al secondo stadio, quello di bozzolo, ma presto sarebbe sbocciato il farfalla. La più bella e letale che potesse esistere. Rivestitosi ed accomodatosi appoggiando la schiena ad una corteccia, rivolse un ultimo sguardo alle stelle, per poi addormentarsi profondamente ghermito dalle braccia di Morfeo. Aveva realmente necessità di guarire le ferite interne e di non far lavorare la mente. Era distrutto.


Edited by † F e F F e † - 18/10/2010, 15:59
 
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† F e F F e †
view post Posted on 19/10/2010, 21:48




Eccelsa Forgia del Corpo dell'Angelo Mietitore.



Narrato

« Parlato »



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Era già mezzogiorno, ma al contrario del giorno precedente il Sole non s’era fatto vedere. Una densa coltre di Nebbia ricopriva ogni angolo della radura, inumidendola d’un lieve strato d’acqua che a causa della temperatura che radeva lo Zero si congelava. V’era ghiaccio un po’ ovunque, v’era una morsa di freddo non indifferente, ma Keita aveva altro a cui prestare la propria attenzione. Era sveglio già da qualche ora, la scomoda posizione in cui s’era assopito lo costrinse ad interrompere il riposo, in quanto collo e colonna vertebrale risentivano parecchio. Era scalpitante, ma ancora leggermente irritato dal sangue versato durante la notte di meditazione. Nonostante il tempo trascorso quella scena era ancora impressa nella sua mente, pochissime volte aveva assistito a liquido scarlatto sgorgare dal suo stesso corpo, e quando ciò accadeva l’ira lo braccava. Quando invece esso proveniva da fonti esterne, si dilettava nel contare quanti spruzzi fuoriuscivano nel mentre la vittima soffriva annaspando nel vermiglio colore. Il sadismo lo persuadeva. Anche tal caratteristica faceva parte dell’elenco delle stranezze del Boia, assieme ad altre apparenti in una lunga lista non descrivibile.

Dunque, discorsi caratteriali d’una persona pazza e contorta a parte, era tempo di proseguire con la progettazione e la costruzione pezzo dopo pezzo d’una invincibile macchina da guerra. Si sentiva molto meglio, s’era ripreso durante il turno della Luna, cervello e membra s’erano riposate sufficientemente; poteva quindi riprendere il proprio destino in mano e ricominciare una nuova giornata.
Allacciandosi al discorso riguardante il proprio involucro, il Diavolo decise che quel pomeriggio – sera l’avrebbe sfruttato completamente per allenare e migliorare le proprie prestazioni fisiche, ancora troppo deboli per sopportare le sollecitazione emesse dall’interno. La sua Shinra Tensei su cui stava tanto lavorando, oltre al fatto d’essere incompleta e non controllabile, era tutto sommato abbastanza potente da danneggiare Keita che possedeva un’intelaiatura morbida, da rafforzare decentemente ed al più presto in ogni parte.

Come al solito, s’era tolto il mantello e la canotta nera sottostante, amava nonostante il clima di Kiri, restare a petto nudo allo scopo di tonificarsi. La rigidità non lo intaccava odiernamente, la sua decisione s’era fatta più massiccia, impossibile da abbattere. Imperforabile come il più resistente dei muri, possente come un monte, si prestava a fissare un grosso albero. Largo tronco, ricoperto da uno spessissimo strato di corteccia scura, rami lunghi ed appuntiti come artigli d’un predatore con foglie e fiori sbocciati, parevano voler ghermire per poi stritolare con una possente ed invincibile presa il Demone dagli occhi d’Acciaio. L’osservava con disprezzo, la sua imponenza fiera non l’intimoriva affatto, nemmeno fosse trattatosi d’un essere vivente in grado d’animarsi ed attaccarlo. Non si era nemmeno impressionato alla visione dei rubini noti come Sharingan, Doujutsu posseduta e mostratagli dal Mukenin C Mitsurugi Uchiha, tanto rinomati quanto pericolosi e bramati. Figurarsi se lo impensieriva uno stupido immobile vegetale.

Decise di puntare il ligneo costrutto, opzionandolo come bersaglio e come attrezzo ginnico. Infuse una mera quantità di Chakra nelle piante dei piedi, al fine di garantirsi aderenza e capacità di camminare sulla verticale superficie. Orma di calzare in successione alla gemella simmetrica, avviò moto convinto e rapido, corse perfino. Non ripassava il basico esercizio dai tempi della Quest D, durante la quale se ne avvalse per uccidere alle spalle l’ignaro maggiordomo che voleva privare del malloppo la persona sbagliata. Sorrise, ripensando a tal episodio, non calando però l’attenzione d’un minimo durante l’insolita passeggiata. Per nulla arrugginito, giunse poco sopra la metà del colosso naturale, imboccando poi la strada che portava ad un grosso braccio orizzontale.

Inizialmente, per rassicurarsi che non vi fossero cedimenti alcuni, si eresse sull’arto del figlio di Madre Natura, spazzando con la suola della scarpa la patina scivolosa formatasi durante l’ore di scura permanenza. In seguito con grazia e flessibilità, s’aggrappò alla struttura appena testata con le mani, restando appeso e dondolante ad altezza elevata. Aveva indotto energia nei polpastrelli, al fine di garantirsi una presa salda, una caduta verso Gaia poteva rivelarsi oltre che dolorosa, fatale. Dunque cominciò a sforzare i propri bicipiti, sollevandosi e poi abbassandosi quasi totalmente. S’era introdotto volontariamente in quella sfida personale, doveva resistere ad ogni costo nonostante il dolore alle braccia, altrimenti sarebbe precipitato. Avrebbe perso, cosa mai successa. La sua ferrea tenacia lo stava spingendo a non mollare, lo stava portando a stringere i denti ad ogni durissimo piegamento; issarsi nel vuoto perpendicolarmente al terreno non era esercizio facile, ma doveva farlo. Se l’era imposto, non poteva rinunciare ora, non era da Lui. Un Dio che prende una decisione, qualsiasi essa sia, mai deve permettersi di perdere credibilità verso i sudditi. Ancora non ne aveva, ma presto, molto presto, avrebbe avuto anche’Egli una setta di persone devote al culto dell’Angelo, teorizzante della Guerra per portare la Pace.

Flessione dopo flessione sentiva i muscoli gonfiarsi, lavorare ardentemente fino a bruciare. Spalle, pettorali ed addominali s’aggiunsero al treno di coinvolti, avvertiva lentamente ogni singola fibra gemere di fatica. Quando si rese conto d’essersi completamente spremuto, con un ultimo sforzo si riportò in vecchia posizione, tentando di equilibrarsi con le doloranti braccia. Gettò uno sguardo su di esse, notando compiaciuto la forma rotondeggiante dal volume sicuramente maggiore. Si rilassò sedendosi, la giornata era appena iniziata; la massa andava anche definita in fretta, prima che si sciupasse con una torta malriuscita.

Catapultatosi al suolo con qualche balzo, si lasciò subito andare in posizione prona. Ancora una volta i suoi arti superiori stavano per essere messi alla prova. Up&Down, stavolta con velocità superiore con scopo d’asciugare i muscoli, di stremarli. Contratti sembravano fossero di metallo tanto erano tesi. Dopo qualche dozzina s’accasciò. La soglia di sofferenza raggiunta era parecchia, abbastanza da farlo ansimare. Quegli esercizi non li svolgeva da tempo addietro, rimembrava ancora quando ogni giorno appena destatosi dall’abbraccio di Morfeo poggiava i palmi al pavimento per eseguire il succitato movimento, perché voleva accrescere la propria stazza in modo da non passare inosservato ai compagni ed al Sensei dell’Accademia. Vanità, allo stato puro.

[…]

Si concesse il lusso d’un altro ristoro dopo aver ripetuto ben tre volte ambo le pratiche, atto a consentire ossigenazione alle porzioni sforzare precedentemente. Mordicchiava una frangia d’erba verde, mentre s’era ubicato sotto le protettive fronde del radicato obelisco. Le fittissime foglie non offrivano il minimo spiraglio alle pochissime frecce ardenti scoccate con precisione sopraffina dall’arco del Sole, che saltuariamente faceva capolino liberandosi dalla stretta marcatura dei biancastri cumuli, lacerando quell’atmosfera così atona con qualche affondo. Le sue iridi di piombo scrutavano l’orizzonte, in cerca di qualcosa che gli attirasse l’attenzione, ma la mente era assente in quei momenti che se qualcosa fosse stato scorto probabilmente non se ne sarebbe resa conto. Non s’era demoralizzato, aveva ancora tanta voglia di fare e diventare, che a breve avrebbe ripreso a potenziare il suo divino corpo.

Scelse di completare l’allenamento sulla terraferma concludendo con ben otto serie da venti addominali, diversificando ogni volta la tipologia: alti, bassi, obliqui a destra e infine a sinistra. Con impegno alzava la schiena dal fresco suolo, la rugiada gli solleticava la pelle ma cercava di non badarvi mentre inspirava quando era coricato, espellendo quando portava il busto vicino alle ginocchia. Continuò imperterrito, fino a quando tutti i tasselli che componevano la scolpita tartaruga inveivano di dolore. Sfinito, s’abbandonò al prato allungandosi in tutta la sua statura, socchiudeva gli occhi a tratti semi - assonnato.

Il pomeriggio era trascorso in fretta, calava la Notte, la ballerina dell’oblio stava inquinando con le sue corrose spore l’oscura selva colorandola d’un nero inquietante. Pensava che sarebbe stato pericoloso addentrarvisi, i predatori erano spesso in agguato in attesa d’un pasto su cui allungare zanne e unghie. L’idea non l’intimoriva, anzi lo allettava. Si promise che in uno dei seguenti giorni v’avrebbe fatto meta, avrebbe messo ad esame i propri riflessi ed avrebbe misurato la sua capacità di sopravvivenza. Un ulteriore test per cercare una risposta alla costante domanda che ridondava nel suo cranio, sperava di trovarvi presto una risposta possibilmente positiva.

Mancava all’appello una parte da sottoporre al training: le gambe. Decise quindi d’entrare nel laghetto prima che l’acqua divenisse non attraversabile, l’abitudine lo spinse a camminarvi sopra quindi sciolse il chakra adesivo, affondando. Un lungo brivido lo percosse, raddrizzando la sua postura come fosse condotto da una scarica elettrica, accapponandogli la cute. Iniziò a correre con il liquido non più puro una spanna al di sopra delle rotule mentre adocchiava il riflesso della pallida Luna. Il peso del fluido era consistente, gli permetteva così di sfruttare al massimo polpacci e quadricipiti. Ogni tanto abbinava repentine curve e cambi di direzione a manca e ad opposta, percorsi che avrebbero incrementato oltre che l’esplosività anche l’agilità. Non cessò fino a quando i crampi lo morsero, si trascinò quindi fuori dal bacino.

Distrutto per le seconde ventiquattro ore consecutive, poteva ritenersi discretamente soddisfatto, sapeva anche però che non era mai abbastanza, che un Divino poteva e doveva dare di più. Ma l’avrebbe fatto prima o poi, in breve tempo avrebbe superato i propri limiti in ogni campo per dimostrare a chiunque l’avesse sfidato chi era, rendendo l’idea di non essere un umano - Se così poteva definirsi – qualunque, ma d’essersi trasformato in qualcuno che è Veramente Qualcuno. Fu catturato rapidamente dal Residente dell’Olimpo, le palpebre si sigillarono rinchiudendo le iridi concentriche nella più assoluta mancanza di Luce.


Edited by † F e F F e † - 21/10/2010, 15:46
 
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† F e F F e †
view post Posted on 24/10/2010, 22:00




Giudizio Divino: Redenzione degli Impuri Peccatori.



Narrato

« Parlato »



Sferzante fu il radiante raggio energetico che investì in un baleno le povere palpebre dietro cui gli occhi del Celestiale scioperavano. Qualcuno da lassù gli aveva spedito un segnale, simboleggiante l’ora di destarsi dal sonno profondo, era tempo di risorgere e di regalare un brivido di superiorità a quel Mondo a Lui palesemente Inferiore. Come un condannato costretto all’esilio dal Paradiso, era perennemente in cerca del proprio Eden, un regno il cui il sottoscritto avrebbe comandato con rigore e fermezza, impostando un regime autarchico ed imponendo la propria volontà come Legge, seguita da quella incisa nel suo Cuore. Non l’avesse trovato, si sarebbe preoccupato personalmente di darvi vita con le proprie mani, modellandolo secondo le proprie preferenze. Non vaneggiava affatto, non era tipo da sogni irrealizzabili, per il semplice motivo che un Dio può ottenere tutto ciò che è oggetto del suo Desio. Era solamente una brama da rimandare, v’avrebbe donato attenzione a partire dal momento in cui poteva con certezze autoconsiderarsi davvero Forte. Era lì, in quella Valle millenaria famosa per i predecessori che vi s’addestravano, per maturare sia mentalmente che fisicamente. Era sicuro che stava ottenendo risultato, stava mettendo a frutto tutto ciò che gli venne insegnato per incrementare il più possibile le sue doti atletiche e psichiche. Si sentiva bene con se stesso, ma voleva scalare ancora il Monte della Perfezione; si credeva ancora ai piè.

Abbacinato e riscaldato, si sollevò da Madre Terra congelato ed infangato, umido. Senza indugio si svestì completamente, rivelandosi completamente alla Cupola azzurra, al Sole debole, alle Stelle. Depositò sull’erba gli indumenti indi si diresse verso il laghetto, ma raggelò istantaneamente allo sfiorare l’acqua con la punta delle dita. Luccicavano ferrei e cupi i numerosissimi piercing, gli davano un aspetto misterioso ed inquietante, mentre si ravvivava l’appuntita zazzera arancione che gli era franata davanti alle iridi. Si decise, affondò un piede, poi l’altro. Rabbrividiva non poco, il Dominio d’Apollo non era in grado di fornire temperatura gradevole al suo tatto, ciò costava una involontaria contrazione dei muscoli che cercavano di trattenere al loro interno il maggior calore. S’abbandonò, sciogliendosi in quel liquido limpido, rilassando ogni singola cellula. Galleggiava, lentamente il rude freddo diveniva minor ostacolo per il suo corpo che andava via via abituandosi, socchiuse poi i bulbi riportandoli all’oblio. S i l e n c e.

Nulla osava permettersi di disturbare l’aggrovigliata mente che burattinava quel fisico mozzafiato, il minimo fastidio gli avrebbe spezzato la sottile linea che lo manteneva collegato con il presente. Ebbene stava nuovamente meditando, seppur in posizione insolita. L’orecchie ambedue semi immerse fungevano da copertura per i timpani che lo stavano isolando dal circondario; tutto si affievoliva, lo sciabordio dell’acqua che s’infrangeva sulla roccia, il canto dei volatili, il vento che percuoteva rami e foglie. Attimo dopo attimo stava teletrasportandosi in un universo parallelo, come preda d’un sogno, o chissà, d’un brutto incubo. D a r k n e s s.

[…]

Pestava un suolo inesistente che generava svariati cerchi concentrici sotto ogni sua orma. Non v’era un orizzonte, una linea infinita che separava Gaia e Cielo, ma Egli camminava senza meta alcuna, senza sapere dove andare. Si voltava a destra ed a manca, ma in quel loco privo di tutto, ricco solo di tetro animo, non v’era oggetto su cui posar lo sguardo. Gli comparvero poi d’innanzi innumerevoli ma intoccabili immagini, che s’infrangevano come vetro in schegge non appena esse sfioravano il Daemonium. Ricordi, emozioni passate, fatti accaduti oramai giacenti sotto un velo, episodi a lui narrati riguardo la sua infanzia, la sua famiglia, la sua intera vita. Atti cui lui s’era disinteressato completamente dallo sbocciare dell’adolescenza, non erano per lui più un motivo di freno, di paura, di inibizione. Aveva deciso di mettere da parte ciò che poteva esser causa di debolezza, la scelta non gli fu poi nemmeno dolorosa. Nulla più gli interessava delle sue presunte radici con il clan Koga, della madre morta per mano di uno Stronzo non identificato, della solitudine infantile, di rapporti personali mai cercati ed ottenuti. Lui era Solo, e ciò lo rafforzava assai. Un Dio è sempre Solo. Ne era fermamente convinto, un Entità di tal livello non può coesistere con un eguale compagno, poiché l’uno non accetterebbe mai d’essere sottoposto dell’altro. La richiesta di indipendenza dal sottomesso avrebbe portato ad un inevitabile scontro mortale per la supremazia.

[…]

Dunque, scacciate le visioni e sgomberata la mente, congiunse le mani nel Simbolo della Capra attingendo alla propria riserva di chakra. Impastava energia psico-fisica, stava irrorando ogni porzione della sua essenza, l’animo gli ardeva. Apparentemente morto, si crogiolava immerso nell’azzurra sostanza, scorreva Ella raggiante rivitalizzando il “cadavere” del Divino. Spalancò la vista nel frattempo che modificava le dita posizionandole sulla Tigre, occhi iniettati di genuina Follia gli crearono una maschera macabra, ambo le labbra disgiunte trasformarono la loro natural posa prima in un pazzo sorriso, in un ghigno infine. « SHINRA TENSEI! » sbraitò rivolto all’Olimpo, come una fendente d’affilata Spada lacerò la quiete che troneggiava diafana ed insignificante. L’acqua che lo lambiva venne repulsa di meno di mezzo metro, schiumando e gorgogliando a non finire, creando giochi che s’issarono con sciccheria. Un pesce fu preda di quella spinta, Keita serpentino l’agganciò rinchiudendolo tra i palmi e comprimendolo con forza. Anche il pranzo era servito.

Alimentatosi e riposatosi, con il consueto filo di prato tra i denti giaceva spensierato mentre rimuginava sul da farsi. Si sentiva particolarmente in vena d’andar a caccia, forse gasato dalla cattura al volo dello squamato essere di cui rimanevano solo le deboli ossa. Era già trascorso metà pomeriggio, si decise di vestirsi e di equipaggiarsi con il poco armamentario che deteneva, per poi porsi moto addentrandosi nella Foresta prima che l’assenza di luce rendesse impossibile il proseguo. Varcò le prime fronde d’albero, che parvero chiudersi alle sue spalle come a formare una prigione, come volessero trattenerlo lì in eterno, intrappolato in quell’intreccio di legni.

Aveva già cacciato dalla tasca apposita un paio Kunai, uno era saldo nella mancina mentre il secondo nella mano predominante. Procedeva con fare calmo e guardingo, posava il sandalo delicatamente cercando di non rivelare immediatamente la propria presenza, è risaputo che non sempre gli Stranieri sono ben accetti. Ma ben presto avrebbe preso possesso di quella Zona senza Padrone, aveva in mente di sterminare ogni sorta di bestia gli si fosse presentata davanti, magari guadagnando qualche soldo tramite vendita illegale di pregiate pelli, in caso ne avesse procurate. Quel nido era parecchio fuori di Kiri, non faceva nemmeno parte dei suoi territori, era solamente salvaguardato da Shinobi di scarso livello che saltuariamente s’aggiravano per un rapido controllo.

Dopo parecchio avanzare senza cognizione, avvertì il pesante incedere di un essere probabilmente di grossa taglia, ma concentrandosi maggiormente captò che il numero di passi era plurimo: quel soggetto era in compagnia. Mi nascosi dietro ed un albero, attendendo e spiando quelli che si rivelarono poi tre orsi bipedi. Al centro v’era il genitore, un energumeno scuro di pura possa, affiancato da due cuccioli. Ma qualcosa non lo convinceva: aveva con stupore notato dei tratti non comuni a dei normali esemplari, per esempio degli artigli lunghissimi che parevano coltelli, la dentatura molto pronunciata e la loro cecità caratterizzata da bulbi sigillati da fili di sutura. Provocarono essi sgomento, ripudio, riluttanza, infine odio che cresceva esponenzialmente. I tre abitanti del bosco annusavano l’aria che probabilmente Keita aveva smosso, lo stavano localizzando con la medesima bravura d’un segugio addestrato.

Inutile fu permanere dietro la colonna, avevano scoperto dov’era, si stavano muovendo in sua direzione. Si presentò ai loro non-occhi, con fare quieto e sicuro, non di certo si sarebbe intimorito davanti a quei mammiferi che gli ruggivano contro. Gli mostravano le fauci fameliche nel mentre che s’ergevano in piedi agitando le braccia armate di quegli speroni acuminati. Li fissava con sguardo presuntuoso, era concentrato, attento; l’unica distrazione fu il forte olezzo che proveniva dal loro fiato, dal loro alito disgustoso. Era sicuro di cavarsela egregiamente e rapidamente, senza subire nemmeno il minimo danno.

« Regredite, Bestie! » minaccioso sentenziò, fremente di seviziare le loro carni. Rigirava tra i polpastrelli i due pugnali. Inconsci di aver firmato la loro condanna, i due piccoli s’avventarono sul Tiranno mentre l’adulto sembrava richiamarli. Troppo Tardi. Scagliò veemente entrambi i dardi, imprimendo loro massima forza, mirando comunque accuratamente ai loro cuori. I loro scadenti riflessi non gli permisero una evasione abbastanza scaltra, crollarono tra gemiti e sangue che sgorgava come sacchi di sabbia, tonfando. Ne restava uno, incontrollato, posseduto da uno stato di Berserk non trascurabile. L’aveva fatto infuriare, era Cieco dalla rabbia, anzi lo sarebbe stato se non avesse avuto quelle cuciture violacee. Sorrise, voleva trasmettere la propria sicurezza anche all’ultimo nemico, ma quello sembrava non recepire. L’Omicida s’era pure irritato, sprecare le sue energie per eliminare un decerebrato. Tsk, gli toccava fare pure il lavoro sporco; sperava prima o poi, vi fosse qualcuno che l’avesse sostituito, non facendolo così scomodare per così poco.

Per mettere KO un tale ammasso di pelo lurido ed ira, stava destreggiandosi dietro la schiena al fine di armarsi nuovamente. Aveva afferrato ambo gli Shuriken del Vento Demoniaco cui aprì tutte le lame, era pronto ad affettare le membra a quel plantigrado. Dunque ardente di trionfo lanciò il Mulino che roteando vorticosamente assumeva sempre più potenza distruttiva, cercando di menomare le capacità delle zampe posteriori, bersagliando quindi in cintura; la schivata era ardua in quanto la mole che lo costituiva non gli garantiva facile mobilità tra cespugli, radici, rami, tronchi, rovi, pietre. L’agilità poi, non era sicuramente il suo punto favorevole. Avrebbe poi fornito potenziale all’altro arnese che avrebbe però cercato di trafiggere il petto, avrebbe potuto recidere vene ed arterie importanti, cuore e polmoni. Nel tempo però che intercorreva tra i due mezzi volanti avrebbe lasciato cadere al suolo una Bomba Flash che però non sarebbe esplosa prima che il secondo proiettile si fosse allontanato dal Black Devil, altrimenti accecato dal suo stesso ninnolo e conseguentemente incapace di centrare l’obbiettivo.

Attese la fine della vampa dirompente per constatare l’esito del breve atto: il gigante era riverso qualche metro avanti la sua iniziale postazione, aveva probabilmente cerato un assalto poco ponderato che gli costò però la sua inutile vita. Mostrò in parte la bianca chiostra di denti, sintomo di soddisfazione. Aveva purificato in piccola percentuale quel luogo che però necessitava di chissà quanti altri stragi per raggiungere il candido livello di libertà da scorie. Recuperò i componenti dell’arsenale utilizzati, mozzando prima definitivamente il respiro ai due Ingenui eroi con un calcione alla testa ciascuno, passando poi al restante cui pugnalò la gola per assicurargli un biglietto gratuito per un viaggio di sola andata per l’Aldilà.

Trascinò quest’ultimo con fatica notevole fino alla sua postazione, nel frattempo la Luna s’era resa protagonista dandosi Lume, schiarendo fiocamente ciò che riusciva. Con un Kunai poi aprì verticalmente la pancia del cadavere, ed iniziò senza impressione alcuna a sviscerarne il contenuto, voleva ricavarsi un sacco in cui dormire di notte. Puzzava, un odore misto di selvaggio e morte si stava diffondendo, ma al Cacciatore non tangeva affatto. Non gli era poi così nuovo quell’aroma. Sciacquò l’interno della pelle, poi si lavò velocemente nel solito laghetto. Si coprì di quel manto, addormentandosi tra il tenero caldo ed il chiarore della pallida Sfera.
 
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† F e F F e †
view post Posted on 29/10/2010, 18:54




Celestiale Discesa sulla Terra del Puro Elemento.



Narrato

« Parlato »



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Una goccia. Finissima nella sua essenza, rapida nello scagliarsi come un proiettile sul terreno, perdendo consistenza poi. Era il segnale del meteo odierno, nere nuvole danzavano nell’aere, distorcendo la tranquillità che s’era materializzata a partire dall’Aurora. Si stava scatenando una tempesta, ruggiva potente il Cielo cupo espandendo la propria collera, intimidendo i poveri mortali con lance di tuono che s’abbattevano su Gaia, scaricandosi. Ma Lui non temeva l’armi di Zeus Onnipotente, stava fissando quello spettacolo naturale con interesse, con sguardo di sfida verso quella Figura mitologica; i lineari Raiton rifulgevano nella concentricità delle ferree iridi. Impassibile, ascoltava la melodia aritmica dettata dal rombante sconquasso emesso, nel mentre si dipingevano vampe lucenti su sfondo d’oscurità tetra. Alzò le braccia, le liquide e sottili particelle gli bombardavano il viso, ma non di scuoteva: Keita voleva un diretto confronto con il Re dell’Olimpo. « Concentra qui la tua Collera, non ti temo. Il Prescelto non verrà ucciso nemmeno da Te, io sono il nuovo Dio e presto prenderò il tuo posto. » Distese le dita, disegnandosi una maschera di sicurezza in volto; le labbra leggermente corrucciate, gli occhi spalancati, il tono di voce nemmeno minimamente intaccato dalla Paura. Fato volle che un’aurea serpe scattò, ricadendo però su di un albero alle spalle del Ninja; il destino, come Egli aveva previsto era dalla sua parte, la Dea Bendata lo proteggeva sotto la sua ala, Lui doveva ancora lasciare un Segno incancellabile in quel mondo di peccatori. La saetta che spezzò in due l’aria applicò lo stesso effetto all’obelisco di legno, che si stava apprestando a schiantarsi fragorosamente al suolo. Istintivamente e con il supporto dei propri sensi migliorati, scattò il necessario per non essere coinvolto dalla caduta del cilindro fiorito.

Sorrise, mostrando un lieve angolo di bianca dentatura, la sua presunzione aveva ancora trionfato. Si ricompose, schiaffeggiando gli abiti leggermente impolveratisi nel contemporaneo che la pioggia si faceva più intensa, lampi gialli occasionalmente segnalavano la loro presenza con accecanti bagliori. Acqua, ve n’era ovunque, il lago era ancora più colmo, le pozzanghere macchiavano qua e là prato e terra, infangandola. Il mutevole elemento era alla Base delle Ninjutsu della Giovane Speranza, cosi come lo erano gran parte delle Tecniche del Villaggio della Nebbia. Decise quindi, ispirato dalle catinelle, di applicarsi al loro ripasso, ritenuto tappa obbligatoria in quanto era da tempo non indifferente che esse non veniva sfoderate; da parecchio non aveva avuto occasione di servirsene.

Nel frattempo che s’era denudato la parte superiore del corpo, cercava di rimuovere un tarlo che gli stava rosicchiando la mente: era ancora intento a cercar di capire da dove provenissero le tre creature uccise il giorno precedente. Erano comuni bestie che avevano subito mutazioni insolite, palesemente non di derivazione naturale. Un loco tanto conservato e curato era impossibile potesse essere causa di malformazioni e/o cambiamenti genetici di tale genere, c’era sicuramente di mezzo l’Uomo. Decise però di archiviare la discussione a tempo avanti, aveva tutta l’intenzione di dedicarsi e concentrarsi solo sull’Arte idrica. Posò gli indumenti al riparo assieme alla nuova coperta, cui nascose al suo interno pure il proprio arsenale di cui non avrebbe avuto bisogno per quell’allenamento, indi sgranchì le ossa della colonna vertebrale finendo con le varie articolazioni. Era finalmente pronto.

Non v’era nemmeno stretto bisogno di porsi a pochi passi dal bacino, la pesante precipitazione stava fornendo tutto il territorio d’acqua che sarebbe bastata ed avanzata per lo scopo lavorativo che s’era imposto, ma decisi di avvicinarvisi comunque. Il suo viso era bersaglio di piccole perle, che s’infrangevano dolcemente scorrendo poi le sue guancie per abbandonarsi al prato infine. Dunque primariamente compose in veloce successione tre sigilli, per dare origine ad altrettanti cloni sfruttando la modica quantità di 75 litri di trasparente liquido che riposavano entro una decina di metri dai suoi piedi. Spicci prendevano forma e colore, ergendosi nella loro bellezza unica, mostrando ad astri e natura la loro perfezione fisica. Furono ognuno equipaggiati con un paio di Shuriken del Vento Demoniaco, oggetto assai apprezzato dal futuro Re, cui vennero presto dispiegate le lame. « Bene, mostrate al vostro padrone le vostre capacità.» ordinò freddo ai sottoposti, esseri senza un briciola di chakra causa assenza di sistema circolatorio. Senza indugio la prima copia scattò e dopo un poderoso balzo scagliò la propria arma, che aggressiva di foga andava a ledere una corteccia posta ad una quindicina di metri di distanza. Coraggiosamente la seconda eseguì la medesima manovra, con la differenza che il suo Mulino andò a conficcarsi sotto di quella precedente, separandosi d’un scarso metro. Ultima ma non inferiore alle altre, la terza lanciò l’enorme stella che andò a collocarsi veemente sopra la succitata. Un esibizione d’alta classe, le movenze delicate e leggiadre che l’Originale aveva donato alle sue creazioni erano uno spettacolo per gli occhi; da non dimenticare, la precisione dei dardi scaraventati in linea retta.

Compiaciutosi delle gradevole gesta, Keita richiamò le sue immagini a rapporto, che si presentarono all’istante al suo cospetto. Gettò loro uno sguardo di fiducia, di assenso, ma rimembrava anche che Lui poteva fare molto meglio. Se c’erano riuscite loro, figurarsi il vero Divino. Esse ricambiarono con un rispettoso inchino. Fu la loro fine. Repentino con una gomitata al capo distrusse il clone alla sua sinistra, quello a destra venne trafitto da un Kunai impugnato durante il segno di riverenza. Con la mancina quindi braccò la testa dell’ultima, quella centrale, applicando una salda presa al volto ed alle tempie: trascorse una frazione di secondo che la suddetta venne vorticosamente sciolta per attuare la genesi di un’altra Jutsu di Kiri: la Prigione Acquatica. L’inamovibile sfera blu era una trappola mortale per chiunque, persino per Ninja di grado superiore era ardua liberarsi da quella parete; una volta imbrigliatisi, si era condannati ad una fine certa in quanto impossibilitati a difendersi. La mantenne per qualche attimo, indi la sciolse scostando il palmo dal quella bagnata struttura. Sospirò, dopotutto aveva consumato più di un quarto della total quantità di energia che possedeva in breve tempo; decise quindi di riposarsi in poco, era appena trascorso il pomeriggio ed era solo a metà dell’opera.

[…]

Nuovamente tornato sul campo di gioco dopo una sosta, Keita stava per aprire il sipario per dar mostra delle proprie capacità affini al Suiton. Amava quell’arte, la riteneva piuttosto azzeccata per la propria Persona, con essa si trovava a proprio agio. Un accoppiamento davvero perfetto. L’acquazzone era drasticamente calato, quasi cessato, ma il grigiume lassù obbligava l’ultimo sprazzo di Sole a non regalare la sua presenza, impedendogli di benedire l’umanità con i suoi raggi finali. Ma il Famelico non dispensava di quel beneficio, dall’interno del suo enigmatico spirito s’irradiava una Luce ben più forte che contrastava con le oscure ombre celate nel giovane cuore. Le tenebre calarono calmamente come di consueto, il freddo era ancora più pungente, aghi acuminati gli punzecchiavano le sane membra tartassandole con intensi e concentratissimi dolori. La placida Luna era dove era solita giacere e rispecchiarsi.

Stavolta s’era posto a riva del laghetto poiché il terreno aveva già drenato abbastanza, calpestava piccole rocce e aveva i piedi immersi, le caviglie gli gelavano. Impastava una buona dose di chakra e contemporaneamente tratteneva le mani nella posizione del Serpente con l’indice destro alzato. L’elemento che lo dominava si stava incrociando con il contenuto del piccolo bacino, che aveva in tal maniera limitato il dispendio energetico ad un Medio [20]. Una potente barriera s’innalzava verso gli astri, difesa potente ed unilaterale. Un feroce scroscio continuo accompagnava l’imponenza del Muro che poteva resistere per qualche secondo se non meno, quella era la protezione di base dei Genin del Kirigakure. Mai mancava nelle conoscenze dei Locali, in quanto la sua enorme versatilità prevedeva una copertura - sebbene meno resistente – su ambo i lati e le spalle. Ottima, rapida ed utile, qualità da non sottovalutare.

Dietro la parete si stava formando tramite innesto di altro miscuglio psico-fisico e di un altro Seal, una medesima figura a quella che stava per essere stroncata, che venne però sfruttata per il secondo atto. Inizialmente il Demone venne accerchiato d’azzurro limpido, poi una grossa bestia venne plasmata con l’ausilio del precedente dispiego di forze; un enorme Squalo dalla potenza d’impatto parecchio alta mostrava le fauci affamate mentre si dirigeva a tutto vigore verso le rocce antistanti all’Imperatore. Un sonoro botto segnò il contatto con le pietre su cui la cascata si schiantava, enormi schizzi volarono ovunque infradiciandolo più di quanto non lo fosse prima. L’enorme proiettile aveva l’efficacia di una carta bomba circa, con la differenza di non provocare ustione ma solamente danno contusivo e da urto. I rumori terminarono, il silenzio ripiombò a comandare incontrastato.

Si sciolse dalla posa di concentrazione che aveva assunto, si passò il dorso della mano sulla fronte come ad asciugarsi il sudore che si confondeva con il bagnato. Voltò le spalle allo scenario utilizzato per testare le proprie Ninjutsu, conducendosi ove aveva deposto gli abiti. Con un vecchio e lacero panno s’asciugò un po’ ovunque, indossò in seguito la canotta e la mantella. Respirava faticosamente con il naso, un raffreddore lo stava mirando ma a Lui non tangeva. Non sarebbe stata di certo una causa così stupida ad interrompere il lungo cammino d’ascesa di un aspirante Supremo, nulla era in grado di riuscirvi. Niente e Nessuno.

Era tutto sommato contento dei propri progressi, avvertiva dentro di sé il miglioramento conseguito da duri pomeriggi passati ad allenarsi. Era faticoso ma Egli doveva ad ogni costo divenire migliore. L’aveva promesso ad una persona che l’aveva selezionato per entrare a far parte dei membri di una cerchia ristretta; già il fatto d’essere ancora un novello lo irritava, due dei compagni che conosceva e che sarebbero stati anche’essi componenti della Setta era d’un rank maggiore e pretendeva di eguagliarli in breve tempo. E non si sarebbe posto limiti per farcela, era ciò che desiderava al momento. Non importavano metodi e/o mezzi, il fine era uno ed uno solo e non si accettavano giustificazioni d’alcun genere. Non voleva deludere chi aveva deciso di puntare su di Lui.

S’era ricoperto della folta pelliccia che ancora era impregnata dello sgradevole odore, pensando a dove e quando avrebbe incontrato ancora quel bastardo di Mitsurugi Uchiha. Aveva ancora legato al dito il fatto che gli avesse spezzato un ginocchio, sperava di poter rendere al più presto il regalo ricevuto, con dovuti interessi. La mente caotica ed in subbuglio dai vari pensieri presto si spense, abbandonando il Demone ad un sonno profondo, ad un incoscienza vicina al Purgatorio.


Edited by † F e F F e † - 1/11/2010, 13:58
 
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Dirge
view post Posted on 30/10/2010, 02:22




Mio caro, dopo aver ricevuto da Giaco il permesso di valutarti, ti assegno ufficialmente l'energia verde. Ovviamente conto ciecamente nel fatto che terminerai questo allenamento, che ti assicuro sta venendo davvero bene, la pura dimostrazione della tua classe.

Avrai il mio lungo e dettagliato giudizio, nonché rispettiva Esperienza e Ryo, alla fine del tuo allenamento. Buon lavoro.
 
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4 replies since 17/10/2010, 13:48   97 views
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