| Fulmineo, divino, come aurea folgore di Zeus ancora prima d’aprire bocca s’era già avvicinato. Una dozzina di passi li separava, il Fantasma quasi non s’era nemmeno accorto del rapidissimo spostamento. La sua inettitudine di fronte ad un simil soggetto non lo disagiava affatto, sapeva d’esser fisicamente inferiore, un Mukenin di Livello C era paragonabile ad un Chunin con caratteristiche medie. Ma ciò non bastava ad abbattere il Fantasma, colui che era stato forgiato tra gelo e sangue. Stava per levarsi lo strano copricapo, forse s’era offeso, non era però primaria intenzione del Kiriano farlo infuriare, voleva solo dimostrargli che non sarebbe stato intimorito nonostante la famosa smania omicida che controllava la mente e le mani assassine dell’Uchiha.
“Stupido”, così era stato appellato dall’Essere di Konoha, con un tono di superiorità che Keita non gradiva affatto. Da nessuno amava essere sottomesso, era solito rispettare chi contraccambiava. Non era irritato tanto dalla parola di scherno nei suoi confronti, ma dalla maniera cui era stato ripreso da colui che prevedeva il futuro. « Gli intelligenti hanno il cervello, ma gli stupidi hanno le Palle. » gli rispose, era sempre stato convinto di quella teoria. Non che ciò implicasse l’inutilizzo dell’intelletto, intendeva evidenziare il fatto che Lui era uno che gli attributi li schierava sempre, indipendentemente dalla situazione cui veniva a trovarsi.
Un istante passò dal momento in cui serrò le labbra, che il cappello venne sollevato per dare vita ai due rubini che tanto notoriamente s’erano diffusi in ogni Paese. Mai ne aveva incontrato direttamente un paio, mai s’era scontrato contro Essi. S’aspettava quasi quel gesto, s’aspettava che il Traditore gl’avesse mostrato cosa era in grado di fare, era una questione d’orgoglio. Vagamente ne conosceva la potenzialità, ma nonostante tutto la paura non l’aveva reso sua preda. Era pur sempre Lui il cacciatore, mai s’era fatto catturare da quel sentimento che tanto odiava, sempre aveva cercato di opprimerlo, sempre c’era riuscito.
Poco, un unico istante, passò dalla notazione di splendore delle due gemme che un potente uppercut lo colpì di sorpresa al mento; nonostante la distanza risultasse circa quattro metri, vennero bruciati in maniera talmente spiccia che la difesa era praticamente innalzabile. Inutile fu tentare d’alzare le braccia a coprire il volto, il pugno era imparabile, irraggiungibile. Impattò con foga sull’osso mandibolare, quasi a stroncargli l’uso del gusto e del morso. Tale fu lo scontro delle nocche che l’orecchie ambedue iniziarono a fischiargli, intontendolo; si sentiva alzarsi da terra ma al contempo perdere la stabilità dovuta alla percussione.
Un attimo successivo, i plumbei dischi erano rivolti al cielo causa del colpo, ma non v’era una Luna a rispecchiarsi: sullo sfondo v’erano due iridi scarlatte irrorate di energia e sangue, due occhi di demonio che avrebbero terrorizzato chiunque, ma non lo Spettro. Sapeva come limitarli, gli sarebbe bastata una basilare Tecnica studentesca per offuscare un Doujutsu tanto desiderato. Era straordinaria quanto conosciuta quella BloodLine, ma anch’essa era soggetta a vantaggi e punti deboli. Dalle Tomoe scaturì un qualcosa, una genesi che scombussolò il giovane corpo mezzo denudato. Una specie di shock, una sferzata mentale, una Tempesta Cerebrale.
Sentiva la testa pesante, non sapeva però l’effetto da cosa dipendesse, dalla botta talmente forte da fargli sputare involontariamente saliva e liquido vermiglio oppure da chissà quale motivo a lui sconosciuto. Provava dolore intenso, forse mai era stata raggiunta quella soglia in tutta la sua breve vita. Eppure non s’era disperato, se l’attendeva senza però scomporsi minimamente. Freddo era inizialmente, freddo sarebbe rimasto. Infine, radendo l’incoscienza, avvertii un ulteriore trauma, stavolta però interessò la seconda metà del corpo. Un calcione era violentemente stato scagliato verso il suo ginocchio destro; una macabra melodia d’ossa che si frantumano squarciò il silenzio della notte. Una fitta molto concentrata apparve nella zona bersagliata, Keita si inginocchiò involontariamente portando una mano a coprire la porzione lesa, probabilmente il menisco s’era spezzato come una ramoscello calpestato con interessamento di medio - grave entità che probabilmente avrebbe danneggiato seriamente il Crociato Esterno. Tale ammontare avrebbe reso il Momochi costretto ad adoperare un’unica leva per parecchio tempo.
Stringeva i denti, che stridevano come per scheggiarsi l’un l’altro, cosa che probabilmente era accaduta dopo il montante ricevuto completamente. L’articolazione soffriva, l’acume del dolore aumentava sempre di più a tal punto che la concentrazione era calata, se fosse accaduto altro non sarebbe stato pronto nemmeno mentalmente alla reazione. Ma la rabbia che stava rigonfiando le sue vene accecava tutto ciò, tutto sommato cercò di non mostrare questo lato. Voleva mantenere la sua statuaria espressione, era più gelido dello Zero Assoluto. Non si era emozionato granché, lo Sharingan era sì incredibile ma non a tal punto da entusiasmare lo Spadaccino. Cercava di rialzarsi, esercitando tutto il peso sulla gamba mancina. Lo fissava, come uno squalo inferocito dalla carestia di fronte ad un succulento pasto. Non era il tipo da sorprendersi con così poco, alzò la fronte per cercare i due bulbi avversari; non gli importava se fosse rimasto intrappolato in un’altra illusione. Voleva fargli capire che Niente o Nessuno era in grado di scuoterlo. « Non ti temo. Non temo i tuoi occhi, io so come fermarli. » gli disse, rivolgendosi con fermezza. Non bleffava, la sua Nebbia era realmente capace di neutralizzare ogni tipologia di Arte Oculare.
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