Grow Up, Fujiwara, Grow Up., Allenamento Innata: "Manipolazione degli Origami"

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Xyz10
view post Posted on 18/9/2010, 16:56





¬ Note ¬ Bah, finalmente ho trovato una motivazione per scrivere 'sto malloppone. Mi dispiace per chi lo dovrà correggere XD

Grazie a questo allenamento (in Solitaria, Off Gdr, mentre con la presenza del PNG Akihiro Hinaji On Gdr), Takeshi imparerà ad utilizzare l'Abilità Innata "Manipolazione degli Origami", quella cioè più adatta a lui per motivi di bg.
L'allenamento è svolto tenendo conto del fatto che Takeshi è Energia Rossa e che Off Gdr è già chuunin. L'ufficializzazione di questo passaggio di grado avverrà comunque all'interno di questo topic (tanto per aggiungere righe :P).
Ovviamente per motivi di voglia e di possibile suicidio dello staffer che correggerà, ho omesso l'apprendimento della tecnica da Chuunin che voglio aggiungermi in Scheda (cioè la Moltipicazione Cartacea) e ho accorciato la parte sulle Farfalle di Carta, dando più spazio però alla tecnica degli Shuriken di Carta e alle varie sfaccettature di quest'Innata.

Credo non ci sia altoro da dire, buona lettura! :P

¬ Legenda ¬ Narrato
Parlato
Pensato
Parlato Akihiro

¬ Grow Up, Fujiwara, Grow Up ¬
Doveva farsi aiutare, da solo non sarebbe mai riuscito a farcela, si era sempre detto. Non aveva mai avuto il coraggio di chiederlo a sua madre, l’avrebbe fatta soffrire come quella volta, quando lei gli aveva raccontato la sua storia. Quel giorno si era ripromesso di non porle mai quella domanda, anche se la stessa Fuhiko si era offerta di fargli da insegnante, per quanto potesse. E così aveva tergiversato, e per molto tempo anche. Non riusciva a trovare una risposta a quell’ennesimo dilemma che lo aveva afflitto. Perché la sua vita era sempre piena di enigmi? E perché non vi trovava mai una risposta? Era stupido?
Ma sorvoliamo la risposta a quest’ultima domanda e torniamo a quella di qualche riga più su, ovvero chi lo avrebbe iniziato a quell’Arte, visto e considerato che sia lui stesso, sia sua madre erano fuori dalle possibili soluzioni. E così aveva atteso. Nemmeno sapeva perché lo faceva, quasi sperando che il Tempo potesse sistemare tutto. Per colpa di questo suo comportamento quasi futile, aveva perso l’opportunità di sviluppare l’Innata in tempo per poterla usare nelle Selezioni dei Chuunin, ed era stato sconfitto. Probabilmente gli sarebbe toccata la stessa sorte anche usufruendo della Kekkai, ma gli piaceva pensare che, forse, le cose potessero andare diversamente. Dopo quella disfatta erano successe un milione di altre cose, tutte concentrate nello spazio temporale di quarantott’ore circa. E, ovviamente, impegnato com’era a salvare la pellaccia, non aveva avuto il tempo di esercitarsi. Incredibilmente, dopo tutto ciò era tornato al Villaggio: lì, ad accoglierlo, aveva trovato Fujio, il suo compagno di sventure, e in sua compagnia, erano entrati in un anonimo bar, uno qualsiasi tra i tanti disseminati nella via principale di Kiri. Là, avevano incontrato nientemeno che il suo vecchio maestro, il biondo Akihiro Hinaji. E tutto, improvvisamente, aveva trovato un senso. La sua e la loro presenza lì, il suo aspettare vanamente la manna dal cielo. Persino la sconfitta ora aveva un senso.

Indignato per la sconfitta del suo allievo, il chuunin aveva iniziato a minacciarlo, e Takeshi non aveva saputo tenere a freno la lingua, e, ad un certo punto, aveva urlato al suo ex-sensei che se davvero era deluso per il risultato da lui ottenuto, avrebbe dovuto allenarlo nuovamente, in modo da garantirgli, stavolta, di apprendere appieno i suoi insegnamenti. Dopo un violento scontro verbale tra i due, terminato quasi alle mani, Akihiro ha accettato di allenarlo nuovamente. Minacce di morte a parte.

Il Fato aveva voluto che quegli occhi glaciali lo guardassero nuovamente dall’alto verso il basso, e già questo particolare poteva bastare a scoraggiare qualche ninja alle prime armi. Ma non lui, che ormai, quello sguardo, era abbastanza coraggioso – o abbastanza folle, forse – da sostenerlo quasi senza batter ciglio. Oltretutto, questa volta i suoi sforzi sarebbero stati ripagati ampiamente: valeva la pena affrontare il passato, per raggiungere finalmente quell’obiettivo che si era prefissato settimane prima.
L’Arte degli Origami sarebbe stata sua. L’avrebbe imparata meglio di chiunque si fosse mai visto sulla faccia della Terra, meglio di sua madre, meglio della ragazza che aveva affrontato in missione. Perché quella era la sua Innata. Poco importava se, a detta di qualcuno, fosse una Kekkai femminile. Quel dettaglio di per sé non significava nulla, nessuno garantiva che non potesse essere potente come le altre. Aveva visto con i propri occhi il suo potenziale. Praticamente si poteva modellare ogni cosa, dalle armi agli animali, tutto stava nell’abilità del creatore, e soprattutto nella fantasia che aveva. E, sicuramente, non si poteva certo dire che a Takeshi mancasse l’immaginazione. Si sentiva come se tutto fosse stato già progettato, magari prima ancora della sua nascita. Il fatto di essere destinato a risvegliare quell’Arte, lo stesso essere adatto al suo utilizzo. Il prossimo passo sarebbe stato padroneggiarla. E poi il disegno sarebbe stato completo.

Campo d’Allenamento numero 13, ecco qual’era il posto. Lo stesso dove aveva seguito i corsi del biondo di Kiri. Si chiese perché egli aveva scelto esattamente quel terreno, tra i tanti messi a disposizione dall’Accademia del Villaggio. Forse l’aveva fatto apposta, per spronarlo a migliorare, o più probabilmente per farlo sentire proprio come una volta, uno shinobi alle prime armi. Perché, forse, Akihiro lo vedeva ancora così: uno studentello inutile, incapace, che ha ancora tutto da imparare. In confronto a lui, praticamente un nonnulla. Anche se, gerarchicamente, tra loro la differenza era segnata soltanto da un misero grado.

Aveva deciso che questa volta Akihiro-sensei sarebbe stato fiero di lui, e perciò si era presentato al luogo dell’incontro con ben mezz’ora di anticipo. Perché ricordava quanto il maestro odiasse perdere del tempo. E, soprattutto, almeno stavolta, era deciso a non farlo incazzare. Essere minacciati di morte da un konohano che tentava di pavoneggiarsi era una cosa, e le stesse parole, pronunciate dalla bocca di un chuunin con dei reali precedenti, noto in tutto il Villaggio per la sua spietatezza, era tutt’altra cosa. E di certo Takeshi ci teneva alla propria pellaccia.

Difatti, tanto per testimoniare che aveva deciso di impegnarsi seriamente, iniziò immediatamente l’esercizio di scomposizione. O, per meglio dire, l’esercizio di concentrazione, anche perché non aveva mai visto il suo corpo trasformarsi – eccezion fatta, ovviamente, per la prima volta, durante la missione. Davvero non ne capiva il motivo. Ricordava ogni minimo particolare, ogni minima sensazione che aveva provato in quegli attimi concitati, e ad ogni allenamento li replicava, concentrandosi anche maggiormente. Eppure non bastava. Iniziava a scoraggiarsi, a pensare che quell’Innata lo odiasse, seppur il ragazzo fosse adatto a svilupparla.
Si era seduto da poco, credeva, assumendo una posizione che favoriva l’isolamento mentale: seduto, gambe incrociate, mani unite in un sigillo, occhi chiusi, mente libera da ogni pensiero. Attorno a lui ogni cosa era come svanita, risucchiata in un vortice buio.

Fujiwara, che cavolo stai facendo?

Fu probabilmente per questo motivo che, quando una voce lo venne a disturbare, trasalì. Oppure, forse, la colpa era del cervello, che aveva riconosciuto quel timbro vocale. Strano, si disse, una volta mi chiamava per nome. Beh, certo, visto ciò che era successo il giorno prima, era anche normale che i rapporti tra loro fossero tesi. Oltretutto non l’aveva nemmeno sentito arrivare, e Takeshi aveva un udito piuttosto fino. Alzò le palpebre, già sapendo che si sarebbe trovato davanti Akihiro Hinaji. Il biondo chuunin era di fronte al giovane, e lo fissava con sguardo lievemente irritato, anche se per gli standard del Kirese esso significava furia.

Mi sto concentrando, non vede?

Tieni a freno la lingua, si ripeteva mentalmente, ogni volta senza riuscirci. Già non si poteva dire che i due fossero amiconi, poi figurarsi cosa poteva succedere se lo provocava.

Ti ho per caso detto che potevi iniziare? Ti do forse dato indicazioni su cosa fare? Alzati, e muoviti. Non ho tutta la giornata.

No, non è come pensate. Non si era svegliato dalla parte sbagliata del letto. Akihiro-sensei era sempre così. Anche se quel giorno sembrava davvero che le cose fossero iniziate con un passo falso.
Obbedì, ovviamente, senza osare rispondere. Meglio non giocare col fuoco, o si sarebbe scottato. Gli spiegò anzi il perché si stava concentrando. Cercava di sviluppare l’Innata.
L’espressione del maestro non mutò d’una virgola, e neanche il tono di voce. Ma Takeshi era sicuro di averlo sorpreso. Si dovette ricredere. O meglio, l’aveva sì stupito, ma il motivo era quanto fosse incapace.

Una qualsiasi abilità innata, per essere utilizzata, richiede una certa quantità di chakra. A maggior ragione per poterla evocare la prima volta. E’ probabile anche che ti sia già capitato di usarla, o così ti sembrerà. In realtà, se ti è accaduto, l’hai soltanto risvegliata. Scordati come hai fatto, non conta assolutamente nulla. Non è così che si impara a padroneggiarla.

Incredibile. Un minuto, forse, e l’esperienza e la saggezza di Akihiro l’avevano già smontato. Ogni credenza che aveva avuto sinora, ogni tentativo che aveva fatto, era tutto sbagliato. Ecco perché non vi riusciva. Che idiota.

Possibile che devo insegnarti tutto da zero? Possibile che tu non sia autosufficiente? Non diventerai mai chuunin senza saperti occupare di te stesso, se avrai sempre bisogno di qualcuno che corregga i tuoi errori. Cresci, Fujiwara, e forse svilupperai la tua Abilità. Cresci, e forse diventerai chuunin.

Tutto vero. Ogni parola era una pugnalata al cuore. No, facevano molto più male. Colpivano nell’orgoglio. Il sensei lo conosceva, sapeva che quello era un suo punto debole. Allora stava davvero tentando di farlo sentire ancora un misero studente. E ci stava riuscendo.

Ora ascoltami. Non ti dirò cosa fare, quali esercizi eseguire. Dovrai cavartela con le tue forze. Io ti osserverò e basta, non ne ho voglia, e in più ho un compito importante da svolgere. Ti aiuterò soltanto per questo primo esercizio. Osserva: questa è la mia Innata.

Immediatamente dopo quelle parole, un’aura azzurrina avvolse le mani del biondo: chakra. Compiuto qualche seal, subito iniziò a muovere e ruotare le dita in un modo apparentemente casuale, ma in realtà molto sensato. Il genin se ne accorse subito: il senpai stava manipolando una porzione d’acqua del fiume lì vicino. Poi, lentamente, il flusso di chakra si affievolì e il liquido cadde, tornando a far parte del letto del torrente.
Voltatosi, lo shinobi assunse un’espressione che significava “Vediamo come te la cavi”, e stabilì un limite di tempo. Massimo dieci minuti, era un compito semplice. Dopodiché si appoggiò contro un albero, a braccia conserte, e prese ad osservare l’allievo. Sembrava lo stesso Akihiro svogliato e distaccato di sempre, ma era quasi certo che anche lui fosse interessato. Dopotutto, non gli aveva nemmeno detto che abilità intendeva sviluppare.

L’esercizio, in realtà, era più semplice di quello che si aspettava. A quanto aveva visto dall’azione rallentata del sensei, doveva solamente infondere un po’ di energia. Ma dove? Sulla parte che si desidera scomporre, ovviamente. Un po’ come quando si cammina sull’acqua. Il procedimento era lo stesso. La lezione e il maestro anche.
Irrorò di chakra le proprie mani, più o meno della stessa quantità necessaria per il Chakra Adesivo, poi sciolse il sigillo e allontanò dolcemente gli arti. Ora restava da vedere che succedeva. Quasi contemporaneamente, da entrambi i palmi si staccò un lieve strato di pelle, ma senza che gli provocasse dolore o ferite. Si rese conto quasi improvvisamente che quella sostanza non era carne, anche se da essa era formata, ma bianchissima carta. Due fogli cartacei si libravano a un metro da terra, resistendo persino alla gravità.
Ci era riuscito. Si era scomposto, aveva trasmutato parte del suo arto. Sorrise, forse per gioire, forse per non piangere. Era incredibile quanto fosse semplice. E quanto era scemo lui a non averci pensato da solo.
Il momento di gioia comunque durò poco. Proprio mentre altri pezzettini di mano si apprestavano a trasformarsi, i due fluttuanti caddero velocemente, e tornarono al proprio posto. Batté le palpebre, tentando di capirne il motivo. Non aveva diminuito il flusso di chakra, come aveva fatto l’insegnante poco prima, eppure l’effetto era svanito lo stesso. Ma non dovette riflettere per capire che bastava infondervi più energia. Proprio come l’allenamento di tanto tempo prima, quando ancora era studente.
Riprovò utilizzando una maggior quantità di chakra e questa volta ottenne il tanto agognato risultato. Decine di quadratini bianchi erano ora sospesi a mezz’aria di fianco a Takeshi. Si guardò le mani, scoprendo che di loro non ne era rimasto nemmeno un po’. Ma non ebbe timore, bastò interrompere l’esercizio perché esse si riformassero.

Spinto dalla curiosità, l’artista in erba volle effettuare dei test: voleva scoprire quanta parte del suo corpo era in grado di scomporre. Ricordava che la kunoichi che aveva affrontato era capace – almeno – di utilizzare mani e braccia. Dopo vari tentativi, scoprì di essere almeno al suo livello, se non oltre. Perché oltre ai sopra citati arti, il Fujiwara era in grado di scomporre anche il viso.
Un'altra prova che fece fu quella della manipolazione. Comprese così che, utilizzando il proprio chakra – in modo simile al movimento delle mani compiuto dal sensei qualche minuto prima – era in grado di trasportare questi fogli. Che era ovviamente un particolare interessante, visto che solitamente essi si muovevano in base alla direzione del vento.

Improvvisamente, sentì qualcosa di potente abbattersi su di lui. Si ritrovò fradicio. Voltò lo sguardo, accorgendosi che Akihiro gli aveva scagliato contro un’onda. Nemmeno minimamente pensò si trattasse di uno scherzo. Non era affatto il tipo. Più probabilmente, il sensei si era interessato ai suoi esperimenti e, a quanto pareva, voleva effettuarne di propri. Per una volta, forse, era riuscito a interessare Akihiro Hinaji. Ciò lo fece sorridere.
Si accorse troppo tardi di aver distolto l’attenzione dai fogli di carta, e si aspettò di vedere le sue mani riformarsi, ma rimase di stucco quando comprese che non era importante. Essi continuavano imperterriti a danzare per aria, incuranti persino della massa acquea che si era abbattuta su di loro.

Wow!

Riuscì a dire soltanto questo. Le sue creazioni avevano resistito all’acqua. Non si erano inzuppate, anzi sembravano come appena formate. Erano come impermeabili. Molto probabilmente centrava il fatto che non si trattava di comuni fogli, essendo impregnati di chakra. Chissà se resistevano anche al fuoco. Quasi sicuramente no, anche perché ricordava di aver visto bruciare la kunoichi che li utilizzava. Il chuunin però non lo sapeva, e Takeshi decise bene di anticiparlo nel prossimo test, anche perché non voleva finire affumicato. Dunque estrasse dalla tasca un accendino, lo accese e avvicinò la fiamma ad un foglio. Prese immediatamente fuoco. Contemplò lo spettacolo come un bambino che guarda la neve cadere dal cielo. Quando esso fu completamente diventato cenere, si ricordò improvvisamente che si era incendiato un pezzo di mano. Spaventato, imprecando contro sé stesso e la sua scemenza, bloccò in un baleno il flusso di chakra: tutti i fogli tornarono al proprio posto, ricomponendo le varie parti del corpo, meno quello bruciato. Scoprì così che si era mozzato un dito della mano destra.
Spalancò gli occhi, ora maledicendosi, mentre guardava il moncherino della falange. Il taglio era perfetto, non sanguinava nemmeno. Nessun’arma avrebbe mai potuto fare di meglio.

Tentò di calmarsi. Inspirò ed espirò più volte, sempre fissandosi incredulo la mano, attirando anche l’attenzione del maestro.

Che è successo, Fujiwara?

Mi.. mi sono dato fuoco a un mignolo!

La frase era di per sé molto divertente, eppure nemmeno l’ilare giovane ci trovava un motivo per ridere. Alzò l’arto, per mostrare il danno anche al senpai. Akihiro non sembrò spaventato, anzi. Assunse piuttosto un’espressione pensierosa. Passò qualche decina di secondi, dopodiché il chuunin parlò di nuovo.

Che senso avrebbe un’Innata del genere? L’utilizzatore può scomporre il proprio corpo in fogli di carta impermeabili e controllabili attraverso il chakra, e fin qui ci siamo. Eppure possono bruciare come quelli comuni, e, quando si distruggono, si perde la parte del corpo utilizzata per comporlo. Non ha senso.. Non c’è.. possibilità di rigenerarsi?

Rigenerazione. Ecco, ora tornavano tutti i conti. Improvvisamente ricordò di aver visto la ragazza tentare di rigenerarsi dietro ad uno scudo, sempre – ovviamente – fatto dello stesso materiale. Si maledisse nuovamente per non averci pensato prima. E sì che lo sapeva.
Il cuore tornò a pulsare ad un ritmo decente, e così anche il respiro si calmò. Tentò di concentrarsi e di incanalare ancora una volta il chakra nella mano, e soprattutto di indirizzarlo verso la parte lesa. Dalla ferita sbucò un nuovo foglio, proveniente da non si sa dove, forse dal nulla, che dopo aver fluttuato per qualche secondo si adagiò sulla mano, piegandosi su sé stesso e riformando il dito mozzato.

Ecco. Come nuovo.

Quell’evento, però, gli aveva fatto ricordare un altro dettaglio, quello più importante, e che finora non aveva ancora esercitato. I fogli si potevano modellare per creare qualsiasi cosa. Questa era la vera utilità di quell’Innata. Sinora aveva solo gettato le basi dell’allenamento. Ora iniziava quello serio. Ma anche quello divertente, perché poteva liberare la fantasia per comporre ciò che desiderava. In modo simile ad Akihiro, ora che ci pensava. Entrambi potevano modellare un elemento e fargli assumere la forma che volevano. In questo senso, maestro e allievo erano più simili di quello che credeva.

La Fase Due dell’allenamento fu più complicata. Ci mise del tempo per capire come fare a modellare un foglio, e questa volta nemmeno il chuunin poté essere d’aiuto. Non che si fosse offerto di aiutarlo come la prima volta, anzi. Già era tanto se gli aveva mostrato quello. E poi era un uomo di parola: aveva detto che non lo avrebbe aiutato, e ciò avrebbe fatto. Anche Takeshi avrebbe fatto lo stesso, al suo posto. Era una cosa che doveva imparare da solo, o non sarebbe mai diventato autosufficiente.
La prima cosa a cui dovette pensare fu quale sarebbe stata la sua prima creazione. Doveva essere qualcosa di semplice, eppure non banale. Alla fine si arrese sull’arma più facile da realizzare: uno shuriken. Non era difficile, bastava realizzare una stelletta a quattro punte. Il problema stava nell’impugnatura centrale. Come si realizzava un buco?
Fu la risposta a questa domanda che rese complicata anche la realizzazione della più comune arma da shinobi. Ovviamente era possibile forarla con l’ausilio di qualcosa, come un kunai per esempio, ma sarebbe stato svantaggioso e controproducente. Se per ogni volta che aveva bisogno di una stella ninja doveva bucare lui stesso il foglio, avrebbe perso l’utilità della tecnica. Doveva essere una cosa fulminea, la creazione, proprio come quelle contro cui aveva combattuto. In meno di un secondo, lo shuriken era pronto, affilato forse più di uno normale, e veloce sicuramente almeno altrettanto. Rifletté per molto tempo, provò e riprovò, finché ebbe l’intuizione di concentrare la maggior parte del chakra infuso nel foglio verso il centro. Poi tentò di convogliarla tutta in un punto. La pressione esercitata da quell’ammasso di energia ora visibile in un puntino azzurrino fu tale da bucare il foglio esattamente nel punto desiderato. Il passo successivo fu relativamente semplice, in confronto. Ora che aveva preparato la sua tela, l’artista era pronto a creare la sua prima opera. Il buco però era troppo piccolo, giusto qualche millimetro: troppo poco per poter essere impugnato. Dunque dovette lavorare per allargarlo. Come fare? Piegando e ripiegando la parte adiacente ad esso. Ma come piegare dunque? Si era convinto, dai precedenti esercizi, che il chakra fosse la chiave di tutto: quindi perché non tentare di convogliare il chakra nella parte da modellare e vedere che succedeva?
Provò a seguire questa pista, comunque non facile. Dovette prima di tutto pensare. Come era fatto uno shuriken? Quali parti bisognava modellare per prima? In che misura soprattutto?
Mentre il foglio fluttuava a mezz’aria, danzando grazie alla leggera brezza, il genin estrasse l’arma “originale” dalla sacca e ne studiò le fattezze, come non aveva mai fatto prima d’ora. Non aveva mai avuto interesse a capire come era fatto quell’oggetto così comune per lui. Ne misurò la grandezza, il peso, lo spessore di ciascuna delle sue parti, l’ampiezza dell’impugnatura e altri dettagli a cui non aveva mai dato importanza. Si sentì come un fabbro che deve forgiare per la prima volta una lama, basandosi solo ed esclusivamente su una già esistente. Doveva esaminare qualsiasi dettaglio, prevenire qualsiasi possibile errore, stamparsi l’immagine in testa, figurarsela e poi provare a riprodurla.
Passò del tempo, forse troppo, mentre questi pensieri tecnici gli invadevano la mente. Rivolse uno sguardo verso il maestro, ancora appoggiato all’albero: ora la sua espressione era quasi vacua, come se non appartenesse più a questo mondo. Era talmente distaccato da risultare quasi assente. Eppure, era sicuro che se avesse provato a colpirlo in qualche modo, avrebbe parato e contrattaccato ugualmente.
Come biasimarlo, comunque? Per lui, che era il creatore, l’artista, poteva anche essere un passaggio interessante dell’allenamento, ma per chi lo osservava sicuramente non lo era. Anzi, era estremamente noioso vedere un imbecille che guarda uno shuriken come se non ne avesse mai visti in vita sua, con uno stupido foglietto bianco che danza a mezz’aria. Sì, poteva capire quanto si annoiasse.
Quando finalmente iniziò effettivamente a modellare il pezzo di carta, alcune nubi avevano fatto in tempo a oscurare il sole. Tanto per rendere l’idea di quanti minuti avesse perso.

Piegare il foglio senza toccarlo non era di certo un’impresa facile, anche se poteva avere i suoi vantaggi. Per esempio, in questo caso, semplicemente convogliando il chakra intorno al foro, poteva modellarlo in forma perfettamente circolare: cosa che, normalmente, avrebbe impiegato molto di più per fare.
Sempre basandosi sull’immagine della stelletta, che ormai aveva impressa a fuoco nella mente, tentò di ricrearla concentrando un po’ qua e un po’ là il suo chakra, sempre compiendo però un’operazione alla volta. In poco tempo l’apertura nel foglio era abbastanza grande da farci passare un dito, quindi passò subito alle punte. Stringendo un po’ quest’angolo, piegando quell’altro, facendo movimenti di cui nemmeno conosceva il nome, alla fine ottenne una punta decente. Non riuscì a resistere alla tentazione di tastare la sua ancora incompleta creazione. Infatti avvicinò la mano alla parte di lama già pronta e premette leggermente con l’indice: l’origami non si piegò, né si sfaldò. Era solido, quasi come uno normale. Merito del chakra, ovviamente. Passando il dito sulla parte esterna dell’arma scoprì che era affilata almeno come l’originale, tanto che si ferì soltanto al contatto. Un graffietto da niente, ovviamente, quasi non sanguinava neanche: ma lo shuriken non era in movimento, era fermo. La sua capacità tagliente era eccezionale, se lo ricordava bene.
In poco tempo plasmò anche la seconda, la terza e la quarta punta, pur sbagliando qualche passaggio e quindi disfando l’origami e rifacendo la mossa.
Quando finalmente anche l’ultimo angolo venne perfettamente smussato o affilato, si sentì come in preda all’eccitazione. Come quando si sta per provare una nuova jutsu. La voglia di scoprire se davvero ce l’aveva fatta, se davvero aveva appreso i fondamentali, era tanta. Troppa per essere ignorata.

Si sentì particolarmente figo nel lanciare uno shuriken senza toccarlo, anche se necessitava ancora di qualche movimento delle mani per farlo. Alla fine di questi allenamenti, forse, sarebbe stato capace di scagliarlo soltanto con la forza del pensiero. Il che sarebbe stato ancora più figo.
Ma comunque, mosse le dita in un certo modo, riuscì a imprimere la forza necessaria al lancio del suo primo origami. La stelletta cartacea, anche se malfatta ed imprecisa in qualche punto, era estremamente veloce; l’angolo di rotazione, seppur anch’esso non perfettamente corretto, era molto simile a quello normale; la traiettoria forse era un po’ parabolica, invece che retta, ma nulla che non si potesse migliorare col tempo e con l’esperienza. Il rumore ch’esso produceva tagliando l’aria, invece, alle sue orecchie parve molto più sublime, molto più angelico del normale. Probabilmente perché era una sua creatura, l’aveva fatta lui. Mentre ancora l’arma era in volo, si chiese se anche Yui, la sua ragazza, provasse le stesse emozioni quando vedeva i suoi disegni prendere vita.
Persino il secco e duro rumore dell’arma che si conficcava nella corteccia del primo albero che gli era capitato a tiro gli parve qualcosa di cui meravigliarsi. Come se fosse un’esperienza totalmente nuova. E forse, sotto un certo punto di vista, lo era davvero.

Un’idea gli balenò per la mente, proprio in quel momento, e non ebbe nemmeno un ripensamento. Doveva assolutamente testare anche quello. Per forza. Si sentiva quasi avido: voleva scoprire tutto, svelare qualunque segreto, capire ogni minimo dettaglio.
Estrasse dunque dalla sacca uno shuriken, uno di quelli “veri”, e lo lanciò precisamente a fianco a quello cartaceo, tentando di imprimergli la stessa forza e velocità del precedente. Il sibilo gli sembrò davvero troppo “normale”, quasi noioso. Persino il suono che produsse contro la corteccia fu sordo, non ben definito come l’altro. Non c’era nulla da fare, i suoi origami erano fatti di tutt’altra pasta. Almeno per Takeshi era così.
La sfida, però, la vinse la stelletta ferrea: infatti penetrò il legno per più millimetri. Ma non ne rimase affatto deluso, se lo aspettava. Lo Shuri-Gami aveva perso soltanto una battaglia. La guerra l’avrebbe sicuramente vinta, a lungo andare, quando l’esperienza del manipolatore sarebbe cresciuta.



Basta così, mi hai annoiato a sufficienza. Ora datti da fare, fammi vedere ciò che hai imparato.

Non percepì immediatamente il senso di quella frase, tanto che dovette voltarsi per guardare in faccia colui che l’aveva pronunciata, per essere sicuro che facesse sul serio. Ma la sua espressione non ammetteva repliche. E il Fujiwara, di certo, orgoglioso com’era, non si sarebbe mai ritirato da una sfida. Poco, ma sicuro.

Chissà quanto tempo era trascorso. Era inutile guardare il cielo, comunque, per tentare di capirlo: oscure nuvole avevano oscurato il sole. Si sarebbe messo a piovere di lì a poco.
Quasi sicuramente era almeno metà pomeriggio. Aveva speso ore, durante la mattinata, a perfezionare la tecnica degli shuriken di carta, poi – dopo una breve pausa pranzo – si era immediatamente rimesso al lavoro, anche se Akihiro ancora non lo aveva raggiunto. Dopotutto, si era detto, aveva fatto praticamente tutto da solo, quindi poteva anche continuare il lavoro in solitaria. Anche se poi, comunque, dopo non molto il sensei aveva fatto capolino, esattamente come poche ore prima.
Aveva dunque continuato ad allenarsi, anche se stavolta aveva cambiato arte magica: infatti, si era ricordato di quelle farfalle bianche, indistinguibili da quelle vere, che li avevano ingannati in quel di Ame. Ed aveva deciso di copiarle anche quella tecnica. Che poi “copiare” non è la parola adatta. Era più un “prendere come modello”, almeno secondo il suo punto di vista. Era chiaro che, da artista quale sarebbe stato, rubare in quel modo i lavori degli altri non era, diciamo, la cosa migliore che potesse fare. Prima o poi avrebbe inventato la sua ninjutsu personale, derivata ovviamente dall’Arte. Questa era una promessa.
In ogni caso, quando fu soddisfatto del modello d’insetto ottenuto, dopo cioè un miliardo e mezzo di tentativi, tornò ad occuparsi degli ShuriGami, come li aveva ribattezzati lui stesso. Anche perché, obiettivamente, gli sarebbero tornati molto più utili delle farfalle, che avevano senso solamente in missione. Mentre le armi andavano sempre bene per ogni occasione.
Ed infine, dopo un’altra miriade di prove, il maestro aveva parlato, interrompendo l’esercizio. Perché? Perché era noioso. Tipico.

Forza Takeshi, combatti con me. Se riuscirai a colpirmi, avrai vinto.

Aveva di nuovo preso a chiamarlo per nome. Bah, chissà perché.
Questo dettaglio passò comunque in secondo piano, il chuunin gli aveva lanciato una sfida. Sorrise. Ora iniziava il divertimento.

Non ha nemmeno detto cosa vinco.

Sbruffone. Come sapeva che sarebbe riuscito a colpirlo? Semplicemente non lo sapeva. Era solo fatto così.

Tu pensa a colpirmi, al premio ci penserai dopo. Forse.

Poi il biondo partì alla carica, katana in mano. Fu veloce, ma se lo ricordava molto più rapido. La distanza, poi, fu tale da permettere all’allievo di sfoderare il tanto e di parare l’assalto. Ma era solo il primo.
L’abile chuunin, dall’alto della sua esperienza, fece finta di indietreggiare e poi con una mossa da vero spadaccino sferrò un altro affondo, ancora bloccato. Quindi di nuovo un'altra mossa, dopodiché attaccò ancora.
Parò cinque colpi, ne eluse due. L’abilità di Akihiro alla katana era notevole, ma nemmeno Takeshi era un novellino. Non era però al suo livello. Il solo fatto che aveva solo difeso ne era la prova. Non gli lasciava neanche il tempo di respirare. L’ottava offensiva del biondo fu più rapida e più precisa, o forse era soltanto il suo polso ad essersi stancato: fatto sta che la lama strisciò sul suo braccio destro, ferendolo.
Reattivo, balzò indietro, tentando di allontanarsi. Non glielo permise.

Merda! Mi tiene sul corpo a corpo, così non posso usare l’Innata! E come lo colpisco allora?

Momento. Non c’era bisogno di fare sigilli particolari, l’Arte era già attiva. Bastava solo infondere chakra nella mano, e questa si sarebbe scomposta. Avrebbe difeso con una, e attaccato con l’altra. Ma poteva bastarne una soltanto? Forse no. Dopotutto aveva di fronte Akihiro Hinaji, non il primo sfigato che passava. E allora come poteva fare?
Non gli dava tregua, continuava ad attaccare. E Takeshi continuava a difendere, per quanto poteva. Deboli furono i suoi tentativi di sferrare un attacco decente. Si ferì altre volte, sempre per colpa del filo della lama, ma fu quando essa strisciò sulla sua guancia che arrivò ad una soluzione. Poteva scomporre anche il viso, lo aveva provato. Avrebbe usato quei fogli, invece che quelli delle mani. Il procedimento era lo stesso.
Indietreggiò nuovamente, sperando che il maestro si fosse stancato di inseguirlo, poi concentrò il chakra nel volto. I primi pezzetti di pelle iniziarono a staccarsi e a modellarsi secondo il suo volere. Dovevano diventare shuriken, il più in fretta possibile. Il problema era che Akihiro non volle assistere al procedimento, anzi: con un colpo di spada tagliò tutti i fogli che danzavano a mezz’aria.

Dovrai fare meglio di così, se vuoi vincere! Sei debole!

Era solo alle prime armi con quell’Arte, diamine. L’aveva imparata soltanto otto ore prima. Non poteva fare molto, non se continuava a pressarlo in quel modo. Ci voleva un diversivo.
Un balzo, e quattro rapidissimi seal, compiuti ad una velocità mai raggiunta prima d’ora, gli permisero di guadagnare del tempo. Apparvero tre copie, e si frapposero tra l’originale e il maestro, tentando di ostacolarlo almeno col corpo, mentre il vero Takeshi ebbe un’illuminazione. Concentrò l’energia in tutte e tre le parti del corpo scomponibili, ovvero viso, mani e braccia, poi rilasciò la maggior quantità possibile di fogli. Un mare di quadratini bianchi invase l’area davanti a sé, mentre con l’ausilio del chakra il manipolatore li sparpagliava attorno ad Akihiro, ancora alle prese con l’ultimo dei cloni.
Non poteva plasmare così tanti shuriken, il suo massimo infatti era dieci, ma sarebbero bastati. Tutti gli altri lo avrebbero distratto.
Modellò dunque dieci stellette cartacee, in una velocità abbastanza decente, e le sferrò tutte insieme verso il bersaglio. Come se ciò non fosse sufficiente, provenivano anche da direzioni diverse. Una di loro l’avrebbe colpito, quel maledetto.

Ce la fece davvero. Per ben tre volte, oltretutto. Un terzo degli Shuri-Gami andò a segno, ferendo Akihiro in vari punti. Tra la fiumana di fogli intravide il biondo passarsi una mano sulla guancia, capendo che effettivamente era stato colpito. Tirando un sospiro di sollievo, Takeshi rilasciò l’Innata, facendo tornare ogni pezzo del suo corpo al proprio posto. Poi, con un’alzata di spalle, sorridendo, ebbe anche il coraggio di fare lo sbruffone.

Beh? Cosa ho vinto?

Lo sguardo del sensei rimase glaciale come sempre, così si ritrovò a fissare il taglio che sanguinava. Passò qualche secondo, quindi egli estrasse una pergamena dalla tasca, una di quelle per evocare gli oggetti.
Puff. La nuvoletta di polvere non era abbastanza fitta da coprirla interamente, quindi la vide. Rimase allibito. No, sicuramente molto di più.

Complimenti, Fujiwara Takeshi, sei ufficialmente promosso al grado chuunin.

Proprio così. L’oggetto appena evocato era la giaccia verde degli shinobi. Inutile dire che per un lungo momento non seppe né cosa pensare, né cosa dire. Aveva perso, agli Esami. Non era nemmeno stato ammesso alla Finale. Allora era vero che poteva essere promosso ugualmente: credeva fosse solo una balla per illudere gli esaminandi. Dunque non aveva fatto brutta figura, aveva tenuto alto l’onore di Kiri, proprio come si era prefissato. Proprio come deisderava. Era stato sconfitto, ma ne era uscito comunque vincitore. Strano a dirsi.

Mi sembra inutile dirti che abbiamo ricevuto gli esiti delle Selezioni. Normalmente è il Kage che dà quest’onorificenza, ma quando ha sentito del nostro allenamento di oggi ha insistito perché fossi io a donartela. Ecco perché dovevo valutarti. Volevo vedere se eri cresciuto abbastanza per meritartela.

Voleva dire qualcosa, non sapeva cosa, magari ringraziare o esprimere la propria soddisfazione in qualche modo, ma era come se si fosse dimenticato come fare. Si limitò a fissare Akihiro, incredulo del fatto che ora avevano lo stesso grado, e a ricevere il giubbotto da chuunin dalle sue mani.

 
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¬Kob
view post Posted on 24/9/2010, 16:07




Allora...
Ad effettuare la valutazione sul tuo allenamento sono io, ¬Kob, prima ero Kobayn e probabilmente tra poco cambierò nome in K o b, ma credo che tutto questo a te non interessi poi a molto, mi conosci già. Comunque vada l'autorizzazione l'ho ricevuta dal carissimo Feffe, quindi non dovrai chiedere conferma ad altri Gdr staff.

Il tuo allenamento è stato più che sufficiente a sbloccare l'abilità innata del tuo personaggio, ed inoltre presenta una forma priva di errori e incomprensioni. Per quanto riguarda la forma non credo di aver nulla da dire se non di stare attento alle ripetizioni che una o due volte ho trovato nel testo.
Per quanto riguarda la trama e lo svolgimento dell'allenamento hai lavorato bene, anche se avresti potuto aumentare le descrizioni nel momento dell'attivazione dell'innata, che pare veramente avvenga in poco meno di un minuto. Attivare un innata volontariamente la prima o le prime volte dovrebbe risultare comunque difficile a prescindere dal controllo del chakra posseduto. Mi è piaciuto molto l'allenamento sugli shuriken di carta, che è molto preciso e dettagliato e analizza a fondo il procedimento necessario ad eseguire la tecnica desiderata.
L'allenamento è più che soddisfacente.

Ti concedo dunque 430 Ryo e 165 punti Exp.

Divertiti ad Origamare.

 
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1 replies since 18/9/2010, 16:56   48 views
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