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Oh, Take Me Back To The Start.
Giorni, ore, minuti, secondi. Tempo sfuggito, tempo completamente sprecato. Attimi di vita buttati al vento, attimi che mai torneranno indietro. E se tempo uguale a denaro, allora anche della grana andò perduta. Così, senza un nulla di concreto, si concluse quella missione insulsa per cui Xeno venne richiesto a Konoha da parte di emissari del Paese stesso. Nessun obbiettivo fu conseguito, nessuna battaglia venne ingaggiata, nessun corpo venne trafitto. Il team a cui lo Shinobi di Suna s’aggregò, doveva ricercare un raro fiore che sarebbe in seguito stato utilizzato per preparare un medicinale particolare atto a curare un’infezione alquanto unica nel suo genere. Fatto sta che una seconda squadra di Ninja locali partì prima, e trovando la pianta miracolosa in breve, rese la convocazione del 17enne della Sabbia e di tutto il resto della ciurma inutile. Tra rabbia che saliva e parole di scarsa educazione che dalla sua bocca uscivano, La Nera Folgore non tardò molto a imboccare la via del ritorno. Lungo e faticoso era il cammino che lo separava dalla sua terra natia, quell’incontaminata oasi di povertà che giaceva in mezzo al deserto, martellata dal sole cocente.
Quell’arsura che gli spaccava le labbra aveva fatto sentire la sua assenza, quei granelli dorati che circondavano le mura cittadine per smisurato spazio erano un panorama che non s’era più riflettuto nelle gemme preziose simili a gioielli. Avrebbe ripetuto circa il percorso intrapreso all’andata, e la fatica non sarebbe stata ovviamente poca. Settantadue ore di strada lo attendevano, kilometri di terra che andavano percorsi passo dopo passo, attraversando un ambiente che lentamente mutava. Si sarebbe passati dalle verdi e rigogliose foreste del Paese del Fuoco fino alle dune ed alle tempeste di sabbia che caratterizzano il Paese del Vento, dal clima mite ed accogliente del primo all’incessante bollore abbacinante che avidamente coinvolgeva tutto ciò che poteva del secondo.
I tre giorni di cammino trascorsero inesorabili come la peggiore tortura di una Genjutsu d’alto livello, alternando momenti di moto ad alta velocità a tratti di ristoro ove Madre Natura offriva un nido abbastanza vivibile. Passarono anche le notti, notti di cielo stellato, di luna a falce che schiariva un poco la diritta via. Quel sentiero che l’avrebbe ricondotto a casa, in quell’abitazione in cui lui viveva, ma non sapeva né di chi fosse né perché rimase a lui. Saltuariamente dei pensieri lo tormentavano, i pensieri di una vita senza scopo. Senso di inutilità, di estraneità nei confronti del mondo intero… conseguente malessere, instabilità morale e psichica. Stringeva i pugni quando accadeva, scuoteva la testa cercando di disintegrare gli infiniti punti interrogativi che gli pungevano il cervello. Sembrava funzionare al momento, ma poi tutto ciò che frantumava si ricomponeva. Ed i dubbi e le domande tornavano, a trafiggerlo selvaggiamente, fino a farlo impazzire. Sarà la solitudine, o meglio sarà la non conoscenza del proprio passato… o forse il fatto che nessuno ha ancora trovato il coraggio di raccontare la verità, di raccontare perché Lui non ha alcun ricordo. Un intervento di lobotomia attraverso un arcano ninjutsu lo salvò da un disequilibrio mentale che andava via via manifestandosi in maniera sempre peggiore, ma ora… Ora quella cura avvenuta durante l’infanzia lo sta progressivamente portando al punto di partenza.
Come tante storie, anche quella di Xeno è triste purtroppo, ma ciò che è sconosciuto non può di certo essere rivelato. Quel povero giovane, il cui talento è rinchiuso in un corpo perfetto, sta solo attendendo che qualcosa di inaspettato gli cambi la vita. Era entusiasta quando venne interpellato per quella quest di recupero, credeva fosse il suo trampolino di lancio definitivo verso il mondo dei Ninja. Sperava nella prima consacrazione, ovvero il passaggio a livello Genin, ma tutto sfumò come il migliore dei sogni che si interrompe sempre sul punto più bello. Era seccato per questo, perché Egli era sicuro di tornare a Suna con un coprifronte legato sul braccio sinistro. E invece Nada. Era ancora un semi adulto Normale, senza caratteristiche particolari che lo distinguessero dalla massa di buoni a nulla che nel suo Villaggio lo circondavano. A Suna le schiere di aspiranti Shinobi si erano letteralmente ridotte, erano tempi di magra. Pochi demoni da svezzare, pochi nuovi elementi pronti per rappresentare la loro provenienza alle selezioni del Chunin, pochi nuovi guerrieri pronti a difendere la patria. Si sa, in periodo di carestia ci si arrangia come si può, purtroppo quindi veniva raccattato il fondo della pentola rischiando di racimolare solamente gente inetta.
La Nera Folgore è nata per la battaglia, è nata per impugnare una spada e fronteggiare il nemico. Sebbene non ancora esperto, il temperamento corretto che un vero guerriero deve sempre mantenere durante la lotta non gli manca. Tenace, coraggioso, ma anche spietato al punto giusto. Si rispecchiava perfettamente nei canoni richiesti un po’ ovunque, ma da solo non poteva ottenere ciò che desiderava. Al momento, o almeno nell’arco di tempo in cui il Giovane era partito, corsi accademici non ce n’erano proprio per il discorso soprastante, ed era quindi costretto a pazientare, ma si stava scocciando poiché era già da parecchio che aspettava.
Arrivò nel pomeriggio nei pressi delle Mura perimetrali, che con la loro imponenza proteggevano quel poco che di urbano e civilizzato v’era all’interno. Sfinito dalla temperatura che lo stava arrostendo, dall’accumulo di fatica che s’accentrava sui polpacci dopo tanto correre e dalla disidratazione che stava debilitando fortemente il suo corpo, non vedeva l’ora di farsi una doccia rilassante e di lanciarsi a peso morto sul suo letto. Varcò quel passaggio nella Roccia conosciuto come Porta Nord, mostrando un documento di riconoscimento alle guardie presenti. Proseguì, guardandosi attorno come fosse la prima volta che vedeva la caratteristiche umili dimore, mentre calpestava i ciottoli misti a terra battuta che confermavano la rusticità del luogo. Imboccò un paio di strette scorciatoie per arrivare prima alla meta, perdendosi nell’ombra. Giunse poco dopo presso la sua nicchia, quella residenza poco lussuosa ed esteticamente poco attraente ma che tanto cara era al Ragazzo, poiché essa faceva parte degli scarsi averi che possedeva. Prima d’accedervi però diede un occhio nella cassetta della posta, dopotutto era rimasto fuori paese per quasi una settimana. Trovò una busta bianca, un’altra busta bianca… proprio uguale a quella ricevuta sette giorni addietro. Stessa grandezza, stesso timbro che indica l’ufficio postale, stesso marchio che indicava che essa era stata inviatagli dai piani alti della scala gerarchica ninja. L’aprì rapidamente e la lesse, curioso.
Non sapeva se sorridere. Da un lato, pensava al fatto di aver ricevuto una seconda possibilità, ma dall’altro ricordava il viaggio appena conclusosi per cui aveva peregrinato per sei lunghi giorni per Niente. Accartocciò il foglio tra le dita, non seppe decidersi al momento. Non ebbe l’istinto di dare una risposta secca a quell’invito. Lo scritto citava dell’ennesima convocazione all’estero, questa volta ad Oto, per prendere parte ad un corso internazionale per ottenere il titolo di Genin. V’era annotato l’indirizzo ed il giorno, l’ora e quant’altro di fondamentale. Aveva quarantotto ore per decidere, perché al terzo giorno sarebbe dovuto partire alla volta del paese del Suono per arrivare puntuale all’appuntamento. Che fare? Rischiare ancora? Che fosse quella l’occasione definitiva per salire di grado ed iniziare finalmente a diventare Qualcuno? Che fosse quella l’opportunità giusta per dare alla sua vita quel tocco speciale che tanto era mancato?
Avvolto da mille domande, decise di aprire la porta, avvertendo un leggero odore di chiuso che gli infastidì l’olfatto. Posò il minimo di bagaglio che s’era trascinato, spalancò le finestre e poi si abbandonò al deforme materasso che la notte lo cullava, ancora con la carta appallottolata in mano. Cercò di rilassarsi completamente, di sentire i muscoli sciogliersi dal carico di lavoro, e la mente liberarsi, svuotarsi, alleggerirsi. Rifletteva, valutava, esaminava. Si sarebbe preso i due giorni a disposizione prima di un’altra eventuale partenza per ristorar le membra e giungere ad una scelta finale, augurandosi che fosse quella corretta. Quindi, permise che quell’arco di tempo prefissato gli scivolasse via come sabbia fine che scappa dalle dita, come un anima che si dissolve.
Giunse il terzo giorno, era l’alba. Aurora d’incanto a Suna, quell’astro splendente si diramava rifulgendo su ogni essenza. Scoccando dardi di fiamme ovunque, l’abbraccio del Sole iniziava ad avvolgere l’intero paese sin dalle prime ore del mattino. V’era già un’anima sveglia da un poco, un’anima il cui spirito ardiva come il Dominio d’Apollo. La Folgore aveva decretato quale sarebbe stato il suo prossimo destino: partire per il Villaggio per Suono, promettendosi però che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe intrapreso un viaggio simile per un banale corso accademico o per una missione di basso livello. Lui non era Chiunque, lui non era un oggetto da sballottare a destra e a manca. Forse sì, era ancora un semplice pedone in una grande scacchiera, ma ben presto sarebbe divenuto un alfiere, o un cavalo. Poi forse una torre, il protettore del Re. Ed infine, Scacco Matto. Si scalza il Re, si prende il suo posto. Chi vince regna, un po’ come tra le bestie selvatiche: il capobranco diventa e rimane chi vince la sfida contro l’altro pretendente.
La promessa del Vento raccolse il suo mero arsenale assieme alla lettera, indi si chiuse l’uscio alle spalle e s’avviò. Camminando per le vie prima, e accelerando poi una volta fuori dal naturale perimetro di pietra, un nuovo Start s’era accesosi come la miccia di una bomba. E quell’ordigno pronto ad esplodere, alias Xeno, avrebbe ben presto indossato una lamina simboleggiante la terra d’appartenenza. Dunque, per settantadue ore doveva mirare in direzione nord-est e proseguire praticamente sempre dritto, attraversando il Paese del Fuoco prima di arrivare a destinazione. Si preparò psicologicamente ad incontrare nuovamente un certo tasso di fatica, ma il fisico era pronto dato il tempo di recupero che intercorse tra l’arrivo e la partenza.
Tra ore passate a sudare sotto sforzo ed ore passate steso all’ombra di qualche albero, s’arrivò al confine dell’oscura nazione. Quel covo di mercenari e criminali, era un territorio in cui la tranquillità era spesso sconosciuta. Spesso si veniva informati da infiltrati della situazione socio-politica, che ben volentieri divergeva in rivolte sanguinose con morti e feriti in copioso numero. Ma la pessima fama e l’alto tasso di delinquenza non erano un problema per il 17enne, non aveva di certo timore di aggirarsi da solo per quelle strade poco raccomandabili. Si sentiva abbastanza sicuro di sé, era in grado di difendersi dai malviventi comuni, non avrebbe avuto problemi ad armarsi di Kunai e se fosse stato necessario di ferire ed uccidere con esso. Anche se, ciò poteva condurlo a guai. Ma il giovane dal canto suo, preferiva sopravvivere, sai com’è.
Addentrandosi tra verdeggianti foreste, arbusti d’ogni sorta ed un infinito intreccio di rami, si respirava un aria molto pura. Era più mite, più gradevole, più umida. Saltava rapido di fronda in fronda, stando attento a non scivolare, poteva anche infortunarsi. Poco dopo, sbucò nei pressi di un sito civilizzato. Mura bianche alte 6-7 metri, il tutto molto quadrato, quasi fosse stato eretto con delle costruzioni per bambini. Si presentò alle sentinelle accompagnato di documento e lettera firmata, e queste non esitarono troppo a lasciarlo passare seppur lo osservassero con sguardo sospettoso e granitico, seguendolo con gli occhi fino a quando non s’allontanò parecchio. Si sentiva fissato, era una cosa che odiava; si girò ed incrociò le pupille sue con le altrui, sprezzante, con atteggiamento di sfida nonostante le guardie fossero almeno di grado Chunin. Non sopportava atteggiamenti del genere, chiedeva rispetto e lo restituiva solo da chi lo riceveva.
Si ricompose, e camminò. Non sapeva bene dove recarsi, aveva si l’indirizzo del maniero ove sarebbe dovuto recarsi, ma non conosceva affatto il posto. Costruzioni simili solitamente si trovano un po’ in disparte rispetto al caotico centro in cui sono insediati uffici amministrativi ed edifici di alta importanza. Questo perché, come succede con i castelli et similia, attorno a tali opere d’architettura si estendono immensi giardini atti a distaccarsi per mantenere la quiete. Dopo la breve deduzione, s’arrestò e si guardò intorno. Doveva obbligatoriamente domandare informazioni in giro, non poteva perdere troppo tempo e rischiare di sforare con l’orario. Avvistò un anziano signore, secco come una prugna, dai capelli bianchi come la neve e molto gobbo.
« Scusi, sa dove devo andare per trovare questo? Non sono di qui… »
Disse con tono calmo e stranamente cordiale, mentre avvicinava a portata di lettura il foglio a quel relitto d’uomo che facilmente non godeva di buona vista. Egli però, con un gesto secco allontanò il suo braccio, simboleggiando un rifiuto che di certo non s’aspettava. Il vissuto essere con espressione seria e corrucciata fissò il membro della Sabbia, un momento di silenzio assoluto s’interpose quest’ultimo e il suo non interlocutore.
« Io non parlo con gli stranieri! »
Allarme Rosso! Allarme Rosso! Attenzione, avviarsi velocemente alle uscite di sicurezza! Temperatura a livello critico! Stava diventando Nero dall’ira. Strinse il pugno mancino quasi fino a sentirlo scoppiare, le gemme dorate smisero di brillare tramutandosi in qualcosa di demoniaco, i denti digrignarono, stridendo. Ripose alla rinfusa lo scritto nella tasca, e in preda alla furia allungò la mano andando a prendere il colletto della maglia del personaggio dalla mente chiusa. Con veemenza lo strattonò avvicinandoselo, le due fronti si appena toccavano, i respiri si fondevano.
« Senti vecchio di merda, se non vuoi avvicinarti alla tomba più di quanto lo sei già, rispondimi entro tre secondi! »
Accentuò la presa, iniziò il conto alla rovescia.
« Tre! »
Pronunziò, distendendo pollice, indice e medio sinistri. Nessun responso.
« Due! »
Ticchettò l’orologio della Morte. Leggero tremolio da parte del senile, morsa che si faceva più potente attorno al suo collo, vene in difficoltà di trasmissione sanguinea, respiro in affanno.
« Uno! »
Indicava il pollice opponibile, unico rimasto. Paura, panico, sudore freddo. Rigidità mandibolare, occhi lievemente spenti, rossore del volto. E tutto il resto già citato s’aggiunse.
« Zero! Tempo scaduto amico! »
Stava caricando un gancio, quando…
« D-DA QUELLA PARTE! »
Strillò con un filo di voce roca la sua preda, mentre le nocche quasi stavano per impattarsi sulla guancia. Xeno mollò la tenaglia giugulare, e vide la direzione mostratagli dal tizio quasi in stato di shock che stava tossendo. Senza più proferir verbo imboccò un sentiero sterrato verso ovest, voltando le spalle mentre sputava con disprezzo sfiorando l’umano. Non crediate che questo sia il suo vero carattere, ma certi discorsi reputati stupidi lo adiravano follemente. Razzismo, Tsk. Sinonimo di pensiero serrato, estremista, poco evoluto. Nemmeno fossimo in guerra, pensava.
In breve, dopo un leggero ricercare, gli si parò d’innanzi il loco prescelto. Quale delusione. Esso era piuttosto diroccato, antico di non si sa quanti anni decenni e nemmeno così maestoso. V’era il segno di qualche fresco ritocco qua e là dimostrato dai resti di mattoni, sacchi di calce e altro materiale edilizio sparso. Restava comunque sicuramente un palazzo poco agibile e molto lontano dalle aspettative. Inoltre, s’aspettava un vasto prato fiorito tutto intorno, arbusti potati ovunque, alberi altissimi… invece si trovò a calpestare una sterpaglia secca su cui si ergevano scheletri di legno rinsecchito senza la parvenza di foglia alcuna. Il Fulmine Oscuro credeva di capitare in qualcosa di ben diverso, di più rinomato e ben tenuto. Invece capì che alla fine in quanto a povertà, tra Suna ed Oto, ben poca era la differenza. E con questo, la fiamma che simboleggiava la sua grande voglia di spaccare il mondo intero venne come spazzata via da una raffica di vento impetuoso.
Cercò in breve di disfarsi di quei pensieri demoralizzanti, e s’avviò ad entrare. Prima però, interpretò la posizione del Sole deducendone l’ora; non era in ritardo, aveva circa 30 minuti. S’infilò in un corridoio stretto e rumoroso, colpa degli studenti sparsi che chiacchieravano, salendo poi su una rampa di gradini che lo elevò al primo piano, ove la lettere indicava che si sarebbe trovata l’aula O-7. Si udiva uno schiamazzare disordinato, senza leggere alcuna insegna la classe aveva già fornito la propria ubicazione. Con certezza nessun Sensei era ancora seduto alla cattedra, quindi non si curò di salutare i presenti, tra cui probabilmente nessuno rientrava nel ristretto cerchio di conoscenze del Ragazzo. Dunque adocchiò l’ultima fila di spalti, che a ferro di cavallo accerchiavano una pedana munita di lavagna. Si sedette, e fissò la situazione: si era ritrovato in un covo di circa trenta persone, ma più che accademia sembrava un asilo. Urla, gente che correva, risate a gran voce, prese in giro ed insulti. Xeno osservava, come una serpe affamata davanti ad una lepre ignara: occhi freddi, saette che si riflettevano violente nelle iridi altrui. Espressione seria, mai mutevole, nessun discorso. Fulminava chiunque osasse tentare un approccio, non aveva intenzione di intrecciar vocabolo con nessuno. Anche per il fatto che quel marasma gli stava facendo bollire il sangue. Ma da dove saltava fuori quel gregge di bestie selvatiche?
Fregandosene dell’educazione, si mise comodo con i piedi sul ripiano che fungeva da banco. Braccia conserte, corpo disteso, sguardo periferico d’acciaio. Addirittura una mano era pronta a estrarre un Kunai dalla tasca porta oggetti nel caso qualche Testa di Cazzo avesse avuto la sbagliata voglia di provocarlo seriamente. Non si sarebbe fatto problemi a far rissa da saloon nonostante avesse messo piede nella stanza da pochi minuti, non era il tipo di persona che si fa mettere i piedi in testa da tutti, figurarsi dagli sconosciuti. Attendeva l’arrivo di una figura altolocata che ponesse fine al baccano e ristabilisse un po’ d’ordine. Nel frattempo, cercò d’isolar la mente dal caos per non innervosirsi e mantenere un minimo di calma e lucidità.
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