| Vaalin |
| | Che dire... mmm... scusate per il tempo che vi ho fatto perdere per aspettarmi, scusate per il post un po'... "strano" ^^" Essendo stato composto in momenti diversi non è proprio un esempio di coerenza stilistica, mi sa, ma spero che perlomeno sia leggibile, benché io sappia che certamente verrò rimproverato da una data persona per alcuni elementi un po' "particolari" xD In ogni caso, dato che un simile mattone non lo consiglierei al mio peggior nemico (ma a te Shad, vista la situazione, sì xD), forse vi risulterà più comodo leggerne solo l' ultima, pessima, parte, ma in tal caso vi avverto che avrete poco da leggere, come al solito la fine dei post non mi riesce mai xP In compenso scrivo parecchio in spoiler, ma questo lo avrete già capito...
Insomma, spero solo che Shad abbia previsto bene e che la cattiva fine del post venga compensata da una buona prima parte!
P.S: Spero di fare un piacevole corso d' Accademia con voi ^^
Legenda: Azioni/Narrazione -Parlato- +Pensato+ -Parlato (Dr. Agenawa)-
Chapter 0: Deus ex machina Buio, come ogni notte la stanza è tenuta rigorosamente nell' oscurità più completa, ma poco importa all' uomo che è costretto a restarvi... lì non c' è niente da vedere, niente da sentire, solo lui e le catene che lo tengono prigioniero. Ormai ci ha fatto l' abitudine, come per ogni altra cosa che gli sia mai capitata. Libertà, prigionia... concetti astratti ed inutili quando si vive una vita che in molti reputerebbero indegna di esser chiamata tale. È la libertà sempre un bene? Molti diranno di sì, ma su quali basi? Meglio libero e costretto a lottare, rubare, uccidere per la propria sopravvivenza oppure schiavo, cavia di un folle, ma sicuro dei propri pasti? Questo però a lui non importa, non si è mai posto un tale quesito. La vita è per lui come quella stanza: c' è solo lui, lui e quanto lo tiene incatenato a questo mondo. Ma qualcosa di inaspettato avviene: in quel buio forzato, voluto per incitare al sonno, qualcosa si mostra alla vista. Dapprima un minuscolo spiraglio di bianca luce si lascia timidamente intravedere sulla scena, poi va via via espandendosi. Distoglie lo sguardo, non è normale che quella dannata luce si faccia vedere così presto e lui ha da tempo iniziato ad odiare tutto ciò che non rientra nella sua squallida routine. Ogni novità è un dubbio che attanaglia la mente, una catena invisibile che si avvolge intorno a te togliendoti l' ultima via di fuga rimasta: l' astrazione mentale. Se una domanda ti rode dentro non è possibile pensare ad altro, no, ogni volta sarai sempre inevitabilmente riportato nel solito punto, al solito fatto, a ciò che ha reso schiava la tua mente. E a lui non piace, non lo sopporta... è abituato a patire ogni dolore fisico, ogni umiliazione, ma il dubbio lo terrorizza. Ogni qualvolta dubita non può che irrimediabilmente accorgersi che l' unica verità che ha è che lui esiste e questa è forse la più grande amarezza che possa capitargli. Se lui e solo lui esiste allora tutto il mondo che lo circonda è una sua creazione, una sua illusione, una sua colpa. Il bambino non nato, quello abbandonato, quello malato, quello maltrattato, il sangue versato, l' osso spezzato, il dolore urlato, tutto immaginato e creato. E qual struggimento più grande dell' esser colpevole di tanto male? Dell' esser chi l' ha reso possibile e fatto esistere? Per questo odia quell' uomo, quell' essere dal camice bianco che lo interroga e lo studia... eppure non può non desiderare l' incontrarlo. Solo, in quella stanza, soffre, teme di smarrire sé stesso in quanto privo di altri da cui distinguersi. Così volge nuovamente lo sguardo verso quella porta scorrevole ormai completamente aperta: poco più di un' ombra si staglia nera, con le mani nelle ampie tasche del camice, contro il fulgore dell' intensa luce -Domani è il giorno- dice, per poi terminare così il suo discorso. Per qualche minuto rimane lì, fermo e in silenzio. Impossibile dire cosa stia guardando o che espressione abbia, ha la luce alle spalle ed ogni dettaglio è celato, ma lui potrebbe giurare che lo stia fissando, impassibile, con quei freddi occhi di un nero tanto profondo quanto privo di anima. Il mostro è ormai incatenato anima e corpo da quelle catene, da quell' uomo, non può non dubitare, non chiedersi cosa voglia dire con quelle sue criptiche parole. Lo fissa, gli occhi incavati nelle orbite che paiono emergere ancor più del solito, il respiro lento e silenzioso, tanto da dar l' impressione che non stia respirando. Una tortura delle più sopraffini è quella messa in atto dallo scienziato, che costringe ad un reverenziale silenzio la creatura cacciata dai cieli più alti e dagli abissi più profondi... Poi si gira con regale maestria e teatralità, senza degnare di una risposta le domande tacitamente fattegli, unico suo gesto discernibile il toccarsi gli occhiali con il dito medio e la mano aperta. Ma un inaspettato elemento di novità fa la sua comparsa: nel portar la mano destra al volto per eseguire la già citata azione, qualcosa esce dalla tasca del suo camice e trova fine alla propria caduta sullo spoglio pavimento di quella monocroma stanza. La porta si chiude dietro all' enigmatica figura, o per meglio dir scorre, poiché - che sia noncuranza? - uno spiraglio di luce rimane e quella linea di splendente rottura nell' oscurità continua ad offender l' infastidito bulbo oculare sinistro. Un barlume di diverso tipo fa però dimenticare il fastidio che una luce così intensa reca a chi tutto intorno il buio ha: la speranza. Per quanto un ignorante sia e la sua vita da buttar via, sa che l' anomala situazione presentatasi pochi minuti prima non può che essergli favorevole e che ha una possibilità allettante di fronte a sé... Per la prima volta da tempo immemorabile può ora fare ciò che molti ritengono renda umani: scegliere. Sì, può farlo finalmente, può essere lui a decidere cosa fare della sua vita da lì innanzi, può tentare una nuova via sua e sua soltanto, non messagli avanti da altri. Vi riflette per interi interminabili minuti, si rode nel dubbio, dibattendosi nell' angusto, ma interminabile spazio della sua mente. Può restare lì ed esser sicuro dei suoi pasti, oppure può uscir di lì e tornare ad una vita forse come quella di un tempo, misera e meschina. Di fuggir un male certo in vista di uno incerto non può deliberare, poiché nozion di bene o male la deve ancor formare. Il sonno giunge adunque a dar requie alle sue membra stanche, la notte passa fra sogni irrilevanti ed il dì si desta cadendo avanti. L' ora in cui la tanto dibattuta scelta esser fatta deve è giunta, il meccanismo che ogni mattina lo libera in vista dell' incontro con il Dottore è scattato, le catene si son disserrate e lui è infine libero di separarsi da quella parete. Ironico che dopo tanto tempo a pensar cosa fare sia un solo attimo a segnare la sua scelta, il tempo di sollevarsi da terra con le braccia, alzare lo sguardo e dirigerlo verso l' oggetto scorto la sera prima: tanto basta a muovere in lui qualcosa, a spingerlo a compiere un' azione difficilmente definibile follia e altrettanto arduamente definibile sensata. I muscoli delle gambe si contraggono e si rilassano, effettua uno scatto tanto improvviso ed irruento da fargli perdere l' equilibrio, con conseguente caduta, un paio di volte nel suo tragitto verso l' uscita, ma infine ce la fa: è lì, fra le mani quel qualcosa che tanti dubbi aveva suscitato. Freme, l' impazienza incalza ogni suo movimento, le mani si accingono, tremanti, ad aprire quello che soltanto da pochi secondi ha identificato come un foglio piegato. Un rumore di passi interviene però a frenare quel gesto, qualcuno si sta avvicinando lungo il corridoio e lui capisce subito di chi si tratti: è l' inserviente che ogni mattina gli porta la colazione. Sa che normalmente non potrebbe farcela, ma questa volta è diverso, un importante fattore gioca a suo favore, un elemento che chi deve affrontare non può conoscere... La scelta, la seconda in un arco di tempo così ristretto dopo così tanto passato senza poterne fare, è immediata: si alza, stringe il foglio di carta in una mano, con la destra afferra la maniglia della porta e la spalanca con violenza, contemporaneamente sferra il sinistro che aveva potentemente caricato e lo riversa dritto sul volto dell' inserviente. Un sinistro rumore accompagna quello dell' impatto e del sangue schizza a destra e a manca. L' inserviente è intontito, si porta istintivamente le mani al naso rotto, lasciando andare il vassoio della colazione che esattamente come ogni mattina teneva fra le mani e, inutile a dirsi, il novello fuggiasco gliela riversa addosso senza remore, per poi usare come arma il vassoio metallico che il suo "ostacolo" portava. Lo lascia in terra dolorante e privo di sensi, dopo aver infierito su quello che considera alla stregua di un tetro carceriere e dopo avergli rubato la sacca con le armi. Corre, per i lunghi corridoi vuoti, seguendo un misto di istinto e reminiscenze, di ricordi di quella sola, prima volta in cui li aveva percorsi, accompagnato da quel taciturno e nerboruto inserviente. Troppo semplice, tutto appare decisamente troppo semplice. Chiunque sarebbe arrivato a questa conclusione già da un pezzo, ma nella foga che lo ha colto non è in grado di pensare, o meglio, anche in condizioni normali non ne sarebbe capace... Fatto sta che è lì che corre, passando di stanza in stanza, varcando porta dopo porta, respirando aria di libertà. Libertà, già... cosa è in fondo codesta tanto decantata libertà? Che esista veramente e non sia soltanto un vuoto valor dietro cui si celano gli ambiziosi? Proprio questa è una delle domande la cui risposta il Dr. Agenawa cerca e proprio per questo motivo studia quel ragazzo, la cui identità è ormai ridotta solo ad un numero: sette. Non è altro, una vuota cifra in un mondo di tenebre. E proprio l' uomo che lo ha ridotto in questo stato ora lo osserva, dall' alto della sua stanza. Lo schermo che ha davanti agli occhi, unica fonte di luce nella stanza buia, riflette le immagini che emette sulla superficie vitrea degli occhiali, dandogli un' aria sinistram mentre lui, con volto impassibile e sguardo attento, osserva ogni mossa della sua cavia prediletta. Lo vede quando scatta verso la porta, quando la apre e con efferata violenza atterra l' inserviente. Tutto procede esattamente come programmato, con estrema soddisfazione dello studioso; persino numero cinque ha svolto brillantemente il suo compito, per quanto inconsapevolmente. Anche quell' inserviente non è altro che una sua cavia e come tale non è che un numero, un burattino nelle mani di un uomo dagli oscuri intenti. Sicuramente sarà interessante studiare la reazione ad un tale maltrattamento, ma quel che ora gli preme è solo lui, il suo pupillo, quella che reputa la cavia perfetta. In lui non son sviluppati i concetti che al dottore interessa studiare, per capire se siano innati nell' uomo o frutto della società. L' immagine viene quindi spostata con un rapido gesto del dito, che preme su uno dei tanti pulsanti del pannello di comando, sulla fuga di numero sette, che continua a correre senza apparente criterio per i corridoi. Chissà come si sentirebbe se venisse a sapere che tutto ciò che ha fatto, che tutta la sua fuga non è opera sua, che è stata voluta da qualcuno di alieno alla sua persona? Questa la domanda a tratti sadica che l' uomo avvolto dal suo camice bianco e dalle tenebre si pone, questa la domanda a cui troverà risposta in futuro. Per ora si limita a premere di tanto in tanto il pulsante, passando da una telecamera a quella dopo, per osservare numero sette che segue il cammino per lui deciso. Le porte sono state chiuse ed aperte ad arte per farlo andare proprio dove era stato deciso andasse, quella che aveva creduto una scelta era in realtà stata un' imposizione. Ma eccolo che giunge infine alla porta, la varca e si ritrova finalmente nel mondo esterno, un breve clink segue la sua fuoriuscita e l' immagine dello schermo cambia, divenendo quella ripresa dall' ultima telecamera prevista dal dottore. D' ora in poi ogni azione del soggetto verrà seguita direttamente dal suo punto di vista, dal dispositivo installato dentro di lui, nell' orbita oculare sinistra. Si concede allora un soddisfatto sorriso il dottore, che incrocia le braccia e poggia il suo corpo sullo schienale della sedia, per poi a voce bassa dire compiaciuto -Just as planned-
Numero sette resta come intontito all' uscita da quell' edificio, all' interno del quale non ricordava che il mondo avesse così tanti colori, tanti odori... Un' esplosione di sensazioni tattili, olfattive, visive, uditive e gustative! Già, perché gli pare addirittura di poterlo assaggiare con la lingua quel nuovo universo che si stende intorno a lui, che lo avvolge e che quasi arriva a permearlo. Ma allo stupore ben presto subentra il timore. Ciò che non si conosce si teme e lui, dopo tanto tempo passato in quel posto dal bianco accecante e dall' odor di disinfettante, non può non aver paura di quello spazio estremamente più ampio di quello cui è abituato. Sembrerà stupido, ma le quattro mura (più pavimento e soffitto) di una stanza sono un fattore limitante portatore di sicurezza, nonché di controllo. Quando ci si trova all' interno di una tale struttura l' ambiente è controllato e perfettamente conoscibile: nessuno può entrare, nessuno può uscire; a tua insaputa ciò non può avvenire. Ed ora ritrovarsi così, solo, in un luogo sconosciuto e per ignoranza e per vastità gli mette ansia, non può non farlo. Ma non è l' unica cosa che angoscia la sua mente e che lo spinge a correr via di lì senza pensarci due volte, infatti, come è ovvio che sia, lo incalza la certezza che la sua fuga sarà presto scoperta. Sa che nel migliore dei casi ha pochi minuti ancora a disposizione, poiché il tempo a lui normalmente concesso per la colazione è poco e dopo è il momento dell' arrivo del dottore. Senza contare, inoltre, che non ha idea di cosa l' inserviente faccia o dove vada dopo avergli dato quanto dare gli deve, quindi la sua temerarietà potrebbe esser già nota a quell' uomo orribile... Sua fortuna è che egli stesso abbia progettato la sua fuga attraverso un percorso obbligato e che quindi non abbia voglia alcuna di impedirgli di andare, anzi. Corre dunque ancora il protagonista della storia che mi ripromisi di narrare, corre attraverso le strade sconosciute di Oto, senza una meta precisa, ma con un chiaro intento: metter quanta più distanza possibile fra sé e il tristo maniero.
Si ferma e si poggia con un braccio ad una fontanella pubblica all' interno di un parco, ha il fiatone e la stanchezza gli ha fiaccato le gambe. Respira affannosamente e profondamente, guardando fisso in terra, poi con una mano fa pressione sul pulsante per far uscire l' acqua e porta la bocca sotto il fresco getto confortatore. Sente il suo corpo tutto rinfrancarsi al non-sapore di quel liquido e gioisce come chi dopo lungo tempo incontri un amico che non aveva più visto. La fresca acqua di una fontanella, una bevanda povera e di certo non pregiata, ma che eppure genera in lui una piacevole sorpresa ed un ingenuo appagamento. Si pone infine nuovamente in posizione eretta e passa l' avambraccio davanti alla bocca per asciugarla, poi dopo aver espirato compiaciuto fa un passo avanti, oltre la fontanella. Splash; un piede finisce in una pozzanghera, certamente dovuta ad un ripetuto spreco d' acqua, e i già sudici pantaloni diventano ora anche bagnati. Un grugnito a mo' di imprecazione anticipa il passo indietro fatto dal ragazzo, che dopo aver rabbiosamente guardato la gamba lancia una furiosa occhiata all' inerte mucchio d' acqua reo d' averlo inzuppato. Ma a quel punto qualcosa cambia, l' essere - sarebbe forse un azzardo chiamarlo uomo - che dalla riflettente superficie ricambia il suo sguardo lo colpisce dritto al cuore. Quello è lui? È veramente lui quel mostro? Questo è diventato in tutti quegli anni? Una vista insopportabile per lui, capace di scuoterlo nel suo io più profondo, andando a toccare i tasti più dolorosi legati ai traumi della sua infanzia e, be', a dirla tutta, dell' intera sua vita. Un qualcosa di ripugnante, di estremamente repellente riflette la sua immagine su quell' acqua: un naso spezzato in almeno due punti, occhi quasi incavati nelle orbite contornate da pesanti aloni di occhiaie... non ha il tempo di rivedere il resto, si avventa con furia omicida su quella pozzanghera, sbattendole contro con immotivata violenza il piede destro. Una volta, due volte, tre volte, con sempre maggior forza sbatte l' arto per terra, come se in realtà con quel gesto non volesse colpire tanto l' acqua quanto il volto che essa osava riflettere. Si ferma, il fiatone è tornato, ma questa volta non desidera alcuna bevanda con cui dissetarsi, semplicemente ricomincia a correre a pugni stretti. Verso dove o verso chi non lo sa, corre e basta, come sempre nella sua vita ha fatto innanzi alle difficoltà. Viene nuovamente colto dalla stanchezza e si ferma nel cortile di una casa maltenuta e in decadenza. Tutto intorno a lui gli ricorda l' ambiente in cui è cresciuto, case il cui intonaco cade a pezzi e le cui pareti vengono assalite dall' umidità, strade lerce e deserte a quell' ora di mattina, qualche sbandato che dorme sul marciapiede, appoggiato con la schiena a un muro e con in mano una bottiglia vuota... Un posto decisamente povero e che non può che generare ribrezzo. Già, perché commozione non la suscita in nessuno, non c' è persona nel duro mondo di Oto che quel luogo possa intenerire, persino le stesse persone che in quello sterco si trovano immerse non si aiutano fra loro, figuriamoci chi quella realtà non vive! Furto, violenza, dolore, peccato, omicidio, pentimento, morte: parole che perdono di significato, ogni cosa che lì avviene lì rimane e non ha nome né è soggetto di giudizio morale o di qualsivoglia tipo. Lì è tanto normale uccidere un uomo quanto per chiunque lo è respirare. L' unica legge che lì veramente esista è quella del più forte e dell' appagamento del proprio desiderio. Una volta Tasso nell' Aminta scrisse che l' età dell' ora era felice non tanto perché la terra i suoi frutti senza lavoro alcuno dava o perché il cielo mai dalle nuvole era offuscato o per tutti gli altri motivi che il tòpos letterario vorrebbe, ma perché non vi era l' Onore e invece delle umane leggi ve n' era una sola che Natura aveva scolpito: s' ei piace, ei lice. Ebbene, la medesima legge in codesto luogo regnava, solo che il suo esito era diverso. Se nella semplice realtà dell' età dell' oro descritta dal Tasso ciò portava ad un mondo fatto di gioiosa sensualità e di amori spontanei, ad Oto portava alla degradazione più assoluta ed incontrollata di quel quartiere. Memore degli antichi usi di quella che a lungo residenza sua era stata, ancor sconvolto dalla vision di sé che avuto aveva nel parco, senza remore alcune ruba dei panni al Sole stesi per asciugare. Invero non son propriamente puliti, ma almeno son asciutti e resi comodi dal continuo uso cui eran certamente stati sottoposti. Nell' allungar la mano per prendere il primo di questi e nell' aprirla per afferrare ciò che desidera però qualcosa gli cade a terra. Solo in quel momento si ricorda del foglietto che tanta curiosità in lui aveva generato e che attraverso le strade di Oto con sé aveva incoscientemente portato, senza mai aprir la mano in cui lo teneva. Si china quindi a recuperare il foglio, macchiato un po' in superficie di sangue e di sudore, e lo apre per svelare finalmente il mistero del suo contenuto. Le scritte appaiono un poco rovinate a causa delle peripezie passate, ma il messaggio è ancora chiaramente leggibile: un certo Matsuo Kinchou è pregato di presentarsi alle nove in una certa "classe 4 sezione O" al secondo piano di un luogo non meglio precisato. Il mittente, da quanto si legge nell' angolo in basso a destra, è lo stesso villaggio di Oto e si parla di un "maestro". Matsuo... Matsuo Kinchou... un nome che gli pare familiare, ma che eppure non è in grado di assegnare a nessuna persona. Non so dir io se sia veramente il nome suo o se stato dato gli sia dal Dr. Agenawa, fatto sta che così di qui innanzi lo chiameremo. La decisione è presto presa, si recherà in quel luogo, qualunque esso sia e si fingerà Matsuo Kinchou. Se il messaggio proviene dal villaggio stesso potrebbe persino rimediare qualcosa con cui vivere per un po'... oppure persino un lavoro! Ma forse troppo fantastica con la mente e quindi decide di darsi una mossa. Indossa gli abiti migliori che trova lì stesi e ne riduce a lunghe strisce uno bianco, per poi usare il risultato del suo lavoro come bende improvvisate. Che sia ferito? Vi domanderete voi. Ebbene no, quelle strisce a medicar ferite non servono, bensì a nascondere quel volto che Natura gli diede e Vita deturpò infelicemente. Col volto fasciato che solo gli occhi scoperti lascia, ma che di respirare bene o d' aprir la bocca non impedisce, corre allora verso un' altra zona di Oto. Si è infatti improvvisamente ricordato alcune cose del suo passato e fra queste i confini del degradato mondo in cui aveva vissuto. Al limitare di quel quartiere, alla sola distanza di qualche metro, sorge una zona maggiormente benestante e civile, quella in cui abitano molti studenti o neo-Genin che hanno da poco intrapreso la via dello Shinobi. Come fa a saperlo? Semplice, questo fatto è l' unico motivo che non consente alla degradazione del luogo da cui viene di espandersi: appena un piantagrane da lì prova ad andare in quella zona e provoca problemi viene immediatamente rispedito, letteralmente, a calci da dove era partito. Lì di ricevere informazioni su quella missiva spera e perciò, anche se, a dir il vero, controvoglia, ad un ragazzo col coprifronte si avvicina. Già dallo sguardo che questi gli lancia capisce che lo ha identificato, a causa dei vestiti non proprio stupendi e puliti, come uno sbandato - ed in effetti di tanto non sbaglia - e che è pronto a rispedirlo indietro. Ribalta però la situazione mostrando il foglio, unica sua speranza in un avvenire migliore. Il ragazzo allora gli sorride, forse anche un po' sadicamente, per poi indicargli dove l' accademia - così chiama il luogo in cui Matsuo deve recarsi - sia e dirgli che di quel passo arriverà certamente tardi. Lo saluta con false parole di ringraziamento, frasi di circostanza che non sopporta. Ed invero è già tanto che gli abbia chiesto aiuto, perché cocciutamente preferisce sbagliare piuttosto che dagli altri farsi aiutare. Non vuol dipendere da nessuno, di sé stesso e nessun altro si illude di aver bisogno.
L' ora è tarda, ma non lo sa, ha corso, per la terza volta da quella mattina, con tutte le sue forze, con quel foglio, fonte di speranza, stretto in mano. Giunge all' edificio di cui gli ha parlato il ragazzo, ringraziando la sua buona stella per esser riuscito a trovarlo senza grandi difficoltà e perdite di tempo. Non si perde ad osservare dettagli come dimensioni, colori, zona circostante, non sapendo che ore siano ignora se sia in ritardo o meno e teme di lasciarsi sfuggire un' occasione. Varca l' entrata di quel luogo e vaga in quelli che per lui sono alla stregua di oscuri meandri. Infine compie uno sforzo di volontà immane per convincersi a chiedere informazioni a qualcuno, mostrando quell' invito al primo ninja che incontra. Questi corruga la fronte, pensieroso, poi alza lo sguardo e rimane con lo sguardo perso come a materializzare nella sua mente un percorso virtuale da lì all' aula, per poi poterlo riferire a quel ragazzo dal volto bendato. Dopo aver riflettuto per un po' rende il foglio e dà le indicazioni dovute, avvisando che il "Sensei", così come quell' individuo chiama questa sconosciuta figura, non è più in classe, ma che si è recato in una sorta di cortile. Le ultime parole dell' uomo si perdono nell' aria, non vi presta la minima attenzione, gli basta sapere dove andare, niente di più niente di meno. E così avanza verso questo ignoto luogo, passando per un corridoio e vedendo, di lontano, che un qualche ragazzo lo ha preceduto. Esulta il suo cuore: non è il solo in ritardo e la paura di una severa punizione è così drasticamente ridimensionata. Anche l' ultima soglia viene varcata, si trova infine là dove era stato deciso andasse e la sua mente si ricolma di confusione: cosa diavolo sta succedendo in quel posto? Un uomo che decisamente spicca sugli altri sembra essere coinvolto in un combattimento con tutti le altre persone presenti e la prima, istintiva, reazione che ha è quella di togliersi immediatamente dalle possibili linee di tiro, scattando immediatamente con moto circolare verso ore dieci. Infila la mano destra all' interno del porta-armi rubato all' inserviente e tenuto attaccato alla cintura sul retro, a destra, si ferma a quelli che valuta come quindici metri approssimativi dall' individuo reputato più pericoloso, quello armato di falce, finalmente fuori da ogni traiettoria che avrebbe potuto metterlo nella spiacevole situazione di venir colpito da un' arma vagante. Afferra un kunai e si tiene pronto a lanciarlo o ad usarlo per parare eventuali colpi a lui diretti da chicchessia; infatti, essendo appena giunto e non sapendo neanche cosa lì sia andato a fare, non ha la minima idea di cosa stia accadendo. Ormai la sorpresa della sua entrata è certamente finita e come minimo la persona più imponente se ne è accorta, quindi compie un piccolo sforzo e decide di spezzare il suo silenzio -Salve, sono Matsuo Kinchou. Mi è stato detto di venire qui, cosa devo fare adesso?- Lo dice a denti quasi stretti, con una certa rabbiosa inflessione nel tono della voce, segno di diffidenza, certa eredità di un passato vissuto per le strade che sta lentamente tornando a galla.
Matsuo KinchouEnergia : BiancaChakra: 50/ 50Slot Azione: Nessuno. Chakra rimanente: 50 Ferite: Illeso Condizione mentale: Speranzoso, ma confuso dalla situazione a lui sconosciuta Equipaggiamento: -Shuriken [x3] -Kunai [x3] -Makibishi [x10]
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